Mio padre Teodoro Meletiou è nato a Mansura il 18 Maggio 1916 e morto in Monfalcone il 24 Giugno 1964.
Il corpo consolare di Milano
Theodore Meletiou – Console Generale della Grecia
Cambio della guardia al Consolato Generale della Grecia: da pochi mesi si è inseditao il nuovo Console Generale Onorario: il signor Theodore Meletiou. Il nuovo Consolato Generale è sorto per merito suo in viale Maino 11.
Mentre lo attendevamo per l’intervista di rito nella sua sede, notammo una certa aria elettrizzante, dovuta certamente alla visita della Principessa Irene di Grecia, che di passaggio a Milano per Genova, dove doveva assistere alle gare nautiche del fratello Costantino, Erede del Trono – fece un salto in Viale Maino – onorando così con la sua presenza il nuovo Consolato Generale del suo Paese.
L’elegante e sobrio arredamento del salotto era tutto rivestito di azzurro con ornamenti bianchi: poltrone accoglienti, divani, tende con questi freschi colori.
– “Colori della nostra bandiera” – ci illumina il sorridente giovane Console. Ci mostra subito un esemplare della bandiera greca in miniatura: cinque strisce blu intercalate con quattro strisce bianche. “Il significato della bandiera contiene un motto vitale per tutti noi greci: Libertà o morte; le sillabe della parola libertà sono cinque (le cinque strisce azzurre), quelle della morte quattro (le quattro strisce bianche). Senza libertà non possiamo vivere”.
Gli domandammo come mai parlasse così bene la nostra lingua, dato che appena da sei mesi copre la carica di Console Generale a Milano.
“Vivo da parecchi anni in Italia. Ho imparato (caso strano, non vi pare?) ad amare questo paese, durante la mia prigionia; ho combattuto sul fronte greco-italiano e fui preso in Albania. Per 30 mesi sono stato ‘ospite’ in vari campi di prigionia, poi fuggiasco, in seguito partigiano e vice-capo di un’organizzazione clandestina chiamata, appunto, ‘Libertà o morte’. Capo di questa organizzazione era l’attuale Ministro degli Esteri in Grecia, Averoff Evanghelos. Comunque, la mia prigionia non fu pesante, il trattamento fu umano e così decisi, che a guerra terminata mi sarei stabilito in Italia. Infatti nel 1947 ho fondato tre aziende tra Palazzolo sull’Oglio e Bergamo: una d’importazione di madreperla, una per la fabbricazione di materie plastiche per bottoni e un’azienda di costruzioni a Bergamo.
Il Consolato è il mio ‘hobby’” conclude il cordialissimo Console generale.
Alla nostra osservazione che tutte le sue attività gli portano indubbiamente via molto tempo, egli ribatte: “E’ questione di organizzazione. Ho i miei collaboratori che mi vengono a riferire sull’andamento delle aziende due volte a settimana. Ho quindi tempo in abbondanza per curare gli interessi del mio Paese ed anche di rappresentare ufficialmente la Grecia nelle varie manifestazioni della vita consolare e sociale”.
Il Console Generale, signor Meletiou, è nato in Egitto a Mansura; ha frequentato l’Università di Mansura ed è sposato. Non sappiamo che cosa chiedergli sulla Grecia, che noi ed i nostri lettori, o per studi dei bei tempi liceali o per aver fatto del turismo in quel Paese, ben conosciamo. Ma anche qui il Console Meletiou ci viene in aiuto e ci spiega che la Grecia è stata uno dei primi Paesi sottoposti alla Riforma Agraria. Già dal 1928 al 1932 durante l’era di Venizelos ebbe inizio la grande riforma e da allora non ci sono più delle grandi ricchezze in Grecia. “Nè grandi ricchezze, nè grandi povertà” ci spiega il nostro Ospite.
“Ed Onassis?”, osiamo osservare.
“Onassis? D’accordo, è un grande armatore greco, ma fa parte dei tanti connazionali ricchi che vivono all’estero. In fatto di flotta mercantile, la Grecia possiede una fra le prime tre delle più grosse del mondo. Mi domandate delle industrie greche? Esportazione di tabacco, olio, uva secca ed… importazione di turisti!”.
Il nostro ospite ci mostra la sua piccola e perfetta organizzazione turistica: alle scuole ed ai privati vengono spedite delle buste che portavano la stampa: “Visitate la Grecia. Oggi è il paese meno costoso per i turisti. Sarà una vacanza diversa da tutte le altre”. Esse contengono pieghevoli a colori, redatti scrupolosamente ed illustrati al massimo.
Poi ci mostra copie in marmo delle celebri statue greche. Alla sua cordialità il Console Generale Meletiou unisce una profonda cultura e noi lasciamo l’accogliente ed ospitale Consolato pieni di desiderio di ammirare al naturale tutto quel patrimonio storico ed artistico di schietta importanza turistica delineatoci da un illustre Cicerone quale il Console Generale, nella sua qualità di profondo conoscitore ed amatore della Storia, delle usanze e dei costumi del proprio Paese, mentre ci ritorna in mente che solo chi sa amare profondamente il proprio Paese, riesce a voler bene a quello di cui è ospite.
Ghitta Hussar
Qualche mese fa il signor Pierangelo Bonazzoli che conduce ricerche sui fatti e le vicende della liberazione in Toscana e precisamente in Casentino a Poppi, mi scrisse chiedendomi se poteva esser mio padre, un certo Avv. Melitio Teodoro, figura citata su un testo storico.
Mi ricordai subito che mio padre Teodoro Meletiou era stato prigioniero due volte in Italia dai fascisti di allora ed era quindi molto probabile che si trattasse di lui (il cognome scritto male era stato sicuramente un errore dovuto alla diversa lingua e pronuncia). Gli risposi subito.
In una sua successiva lettera il signor Bonazzoli mi disse che era riuscito a trovare la famiglia Certini che aveva ospitato mio padre e che aveva un vivo ricordo di lui. Ricordavano che mio padre era ritornato durante il dopoguerra in quei luoghi ma con loro rammarico
non avevano avuto modo di rivederlo.
Dopo qualche tempo trovai sul libro “Dieci vite in una” di Tatiana Averof, figlia di Evanghelos (Loli), un capitolo, il numero 28, che parlava proprio della Famiglia Certini e del legame che si era creato con mio padre. Il capitolo si intitola “Libertà o morte” e lo riporto di seguito:
NON PARLAVANO MOLTO FRA DI LORO, non con parole almeno.
Comunicavano tacitamente, con gli occhi, con i respiri, con i neuroni – come se ognuno parlasse con se stesso, così anche con il fratello. Teodoro Meletiou, tenente dell’esercito greco, proveniente da Mansura in Egitto, era evaso dalla caserma di Popi. Aiutato a fuggire a Roma dall’organizzazione segreta di Loli nel dicembre del 1943. La sua fama però lo precedeva. Nessun prigioniero aveva sviluppato un’azione del genere nella zona dopo la sua evasione, come ha informato Loli il suo contatto a Popi. Collaborava con le organizzazioni locali della Resistenza e, come dicevano le voci, non aveva mai fallito in alcuna missione, per quanto pericolosa fosse. Sveglio, coraggioso e perfetto conoscitore della lingua italiana, Teodoro Meletiou – oppure Mario Certini, grazie al giuramento falso di quattro testimoni presso l’ufficio comunale di Popi – si è dimostrato immediatamente prezioso collaboratore di Loli e i due uomini si sono legati come fratelli.
Quella mattina, a fine dicembre circa, due rispettabili italiani, Mario Certini e Angelo Moncini – piuttosto presentabili con i cappelli ed i soprabiti lunghi – scendevano spensierati verso Piazza di Spagna. Avevano imparato ormai a recitare il loro ruolo e l’esperienza gli aveva dimostrato che le loro Carte d’Identità non presentavano alcun segno esterno di falsità. Qualora si celasse nel loro animo qualche piccolo brivido di paura, cosa particolarmente naturale oggi che avevano una missione pericolosa, tuttavia nessun segno visibile tradiva nemmeno una minima esitazione. Con passo costante, sciolto, i due uomini scesero i famosi Gradini di Spagna e si imboccarono Via Condotti, dove erano concentrati tutti i negozi aristocratici. Restarono per un po’ a far finta di guardare le vetrine, l’uno rimase un po’ più
indietro, la distanza fra loro aumentava pian piano, sino a quando pareva che non fossero insieme. Loli si fermò un attimo davanti alla magnifica gioielleria BULGARI e salutò il custode con i capelli bianchi che sorvegliava l’ingresso.
“Prego, signor Angelo, vi stanno aspettando” – gli fece cenno lui verso l’interno del negozio.
Loli attraversò lo spazio luminoso dell’esposizione, aprì la porta segreta che c’era in fondo e si trovò in una grande sala lunga e stretta dove alcuni artigiani stavano lavorando concentrati sulle pietre preziose e sull’oro.
Procedette velocemente fino all’altra estremità del laboratorio, ammirando di nuovo quel demonio del sig. Sotiris Voulgaris in Greco Σωτήρ Βούλγαρη – che iniziò dalla povera Paramithià nel 1880 avendo come uniche dotazioni l’arte del lavoratore d’argento e la sua laboriosità e creò in pochi anni quel colosso.
“Angelo, Angelo, come sta?” sempre gentile Giorgio, secondo figlio del signor Sotiris, gli diede il benvenuto in un ufficio buio e chiuse la porta dietro di sè.
“Eccezionalmente bene”. Loli lo abbracciò, chiese di suo fratello, che è sempre sommerso nei suoi lavori, e riprese con i ringraziamenti a nome di tutti i Greci, per il loro generoso e premuroso contributo per qualsiasi cosa e in qualunque momento ne avessero avuto bisogno. “Non parlarne nemmeno” lo interruppe Giorgio. “Lo sai che il nostro cuore è sempre con voi. Non dimentichiamo le nostre radici”.
Lo sapeva bene Loli. I fratelli Bulgari, già da quando si trovavano a Feramonti, sia col pretesto delle presentazioni dei loro generi Zafiris Valvis e Giorgio Athanasiadis-Novas, o di altre persone note in Grecia, sia dopo le richieste dell’ambasciata Greca di Berna, avevano inviato denaro a diversi Greci che si trovavano nelle carceri, nelle caserme oppure in paesi d’Italia. Lo avevano spedito in modo plateale tramite posta oppure segretamente mediante un loro uomo che viaggiava a tale scopo in nord Italia. Delle cose segrete la polizia italiana non se ne è mai accorta. Ma del resto se ne è accorse e fu pretesto di seri problemi. Ma i due fratelli riuscirono a salvarsi. Salvarsi e continuare.
“Tutti a Feramonti conoscevamo il nome dei fratelli Bulgari” disse
Loli con decisione. “Era una delle mie poche speranze, quando scendevo a Roma come latitante. Però non potevo immaginare… cosi generosi… a questo livello…”.
“Bene, Bene” lo interruppe Giorgio “non facciamo tardi. Ecco: ciò che hai chiesto. Tieni”.
Una grande borsa nera passò da una mano ad un’altra.
Anziché continuare a dialogare, Loli si inchinò e si sfilò la scarpa. Bulgari lo guardava dubbioso.
“So che non avete mai voluto dimostrazioni scritte o altre conferme, ma…” – Loli continuava a cercare nel fondo della sua scarpa. “Questa volta l’importo è eccezionalmente grande, perciò…” tirò fuori un pezzo di carta attentamente piegato e lo offrì al suo interlocutore. “Abbiamo ritenuto giusto redigere questo verbale nel quale riferiamo dettagliatamente le modalità di disposizione del denaro e che quest’ultimo costituisce un prestito, da saldare dallo stato Greco al termine della guerra. Inoltre, nel caso quest’ultimo rifiutasse di pagare assumiamo noi tale responsabilità. Come vedrete unitamente a me sottoscrivono il comandante Kountouriotis, i coniugi Zanna e tutti i greci che si trovano a Roma come impiegati pubblici ed ufficiali”.
“Caro Angelo, che sciocchezze sono queste!”. Il signor Bulgari era commosso. “Ciò che conta è di continuare il lavoro importante che avete fatto per il salvataggio di tutti gli ostaggi Greci. Ognuno contribuisce come può”.
Tirò fuori dalla sua tasca il suo accendino, strappò il foglio in mille pezzi e li bruciò in un posacenere. “Vai ora” lo mandò via “stai molto attento uscendo da qua dentro. La vostra sicurezza prima di tutto”.
La sicurezza, sì…
Loli uscì dal negozio BVLGARI con la borsa nera sotto braccio, conoscendo molto bene che per quanto possano stare attenti, per quante misure meticolose possano prendere, non saranno mai sicuri. Il loro destino è determinato dal fattore Fortuna. Con lettera F maiuscola. Questa è quella che ride per ultima. Rabbrividiva ricordando che due giorni prima tornando spensierato con il tram, all’improvviso li fermarono e fecero scendere tutti gli uomini per controllare i loro documenti. Lo stesso è successo recentemente nei teatri, nei cinema ed in altri punti di frequentazione della città. I sospetti venivano condotti in carcere, gli altri venivano inviati al lavoro sia nel fronte di Anzio che di Cassino sia per le strade dell’Italia centrale. Si ricorda lo shock, quando vide le camicie nere e gli ufficiali Tedeschi che li accerchiarono. Stranamente impassibile, tentò inizialmente di fuggire con un gruppo di invalidi, ma fallì. Accanto a lui un chirurgo confermò all’ufficiale capogruppo che lo attendevano per un’operazione urgente e gli mostrò i suoi documenti. Ma inutilmente. Era evidente che non c’era salvezza. Due donne dal tram si protesero con lamentosi urli per salvare i loro mariti. Tre camicie nere le trattennero a fatica, mentre la gente osservava sbigottita la scena. Da vicino anche Loli osservava, mentre pian piano si avvicinava alla zona di blocco, il quale nel frattempo si era allentato. O ora o mai, pensò. E si è lanciò. Lo separavano venti metri dall’angolo e dopo si sarebbe perso nel dedalo delle viuzze medioevali. Pochi minuti più tardi, tutto sudato ed affannato, si trovava seduto su un muretto in pietra di un angolo al riparo dal sole e cercava di accettare quello che era successo. Sì, è vero che Loli crede molto alla fortuna. La rispetta. La prende con le buone, le fa i voti nelle sue preghiere. Sa che non può contrariarla – e perciò alla fine la ignora.
Meletiou lo aspettava sul marciapiede di fronte gettando occhiate nervose verso l’ingresso dell’oreficeria. Le missioni pericolose se le spartiscono un po’ per uno ed oggi toccava a Loli di gettarsi nel fuoco. Il suo compagno lo seguirà semplicemente da una distanza di sicurezza, cercando di non perderlo di vista sino a quanto non sia certo che è arrivato sano e salvo a destinazione. Le misure fondamentali di previdenza non escludono purtroppo i pericoli. Almeno, però, nel caso venisse catturato Loli, potranno essere avvisati immediatamente l’ambasciata Svizzera e la Croce Rossa Internazionale, mentre gli altri membri del gruppo riusciranno a nascondersi. Senza alcun segno di riconoscimento, i due rispettabili Italiani partirono verso la stessa direzione, uno davanti, l’altro dietro, con grande distanza fra loro. Non se ne parlava nemmeno di prendere il tram. Camminarono per tutto il percorso evitando attentamente le vie frequentate. Così, poco più tardi., arrivarono alla pensione Capri stanchi ma eccitati e festeggiarono il loro successo con una bottiglia
di vino.
La fortuna fu buona con loro un’altra volta.
Le serate, quando non erano in qualche missione fuori Roma, le trascorrevano di solito in compagnia fra loro, scambiandosi storie e peripezie risalenti ai tempi prima di conoscersi. Loli parlava delle sue imprese a Corfù in qualità di prefetto, della sua azione a Larissa che condusse alla sua cattura e della sua strana amicizia con Tositsas per corrispondenza per molti anni senza essersi mai conosciuti. Meletiou gli raccontava storie dalle battaglie eroiche dopo l’invasione Tedesca in Grecia e di come fu catturato alla vigilia della sua partenza e fu esiliato a Popi. Là – a Popi ed a Feramonti, rispettivamente – si fermava improvvisamente il tempo dei racconti, come se i due uomini avessero tacitamente concordato di esiliare l’esperienza della caserma dalle loro memorie comuni, e iniziavano di nuovo le storie dalla loro fuga in poi. Adesso ormai coabitavano in un appartamento all’estremità della città, di quelli che concedevano i fidati dell’organizzazione ed erano assolutamente sicuri. La pensione Capri veniva utilizzata ormai solo per l’alloggio provvisorio di quelli che arrivavano per la prima volta a Roma sporchi, coperti di cenci e impauriti, fino alla loro sistemazione altrove. L’idea per questa nuova strategia fu inizialmente di Carla, che li avvertì, a dire il vero con molto tatto, che un alloggio più duraturo nella pensione avrebbe potuto suscitare dei sospetti nelle autorità. Sembrava che anche lei avesse sospettato da tempo che qualcosa non andasse bene da quanto le aveva rivelato il suo nuovo amico Angelo Mancini, ma doveva prima accertarsene. Se si fosse sbilanciata anzitempo con lui, sarebbero potute verificarsi conseguenze disastrose per l’organizzazione antifascista alla quale appartenevano sia lei stessa sia suo marito. Attentamente dunque, un passo alla volta, fu cercata e conquistata la fiducia fra le due parti – che era ormai assoluta e poco affettiva.
Una sera sotto la luce delle candele –la corrente era stata interrotta di nuovo dopo i recenti bombardamenti degli Alleati- Meletiou iniziò a raccontare un’altra avventura incredibile che avvenne poco prima che si conoscessero: era giunta voce ai suoi amici antifascisti a Popi che da qualche parte in un altopiano oppure in un paese dimenticato della
montagnosa Pratalia, erano nascosti alcuni ufficiali superiori Inglesi. Fu incaricato di indagare su tali voci e, poiché c’erano tali fuggitivi, di entrare in contatto con loro. Una missione per niente facile, sottolineò a questo punto, allo scopo di far salire il termometro del suo racconto e d’altronde, rinchiusi come erano nel buio e nel divieto di circolazione notturno, non avevano da fare nient’altro. Per niente facile, ribadì. Le tracce lo guidarono in un inseguimento infinito, dalla casa del prete di un quartiere montagnoso al mugnaio del paese di fronte, alla vedova, al vetturino, al picchiatello, fino a quando non si ritrovò una compagnia inaspettata: in un mulino in rovine, all’estremità del nulla, erano rifugiati sette tra ufficiali Inglesi e briganti, un’ufficiale Sudafricano di nome Armostrong, l’Inglese maresciallo Niim, che era precipitato con il suo aereo in Italia e quattro soldati Britannici – tutti disperati ed in stato pietoso. Loli ascoltava estasiato mentre il suo amico continuava la sua storia soddisfatto di aver trovato un ascoltatore così buono: i tre più anziani – Niim ed altri due generali – si decise di farli fuggire per primi. Senza fretta o riflessione, tutto fu organizzato con perfezione. Percorsi, collegamenti, contatti. La sua missione era quella di condurli in un paese dell’Adriatico vicino a Pesaro, dove li avrebbe attesi un sommergibile Inglese. E naturalmente la missione fu portata a termine: dopo mille peripezie e camminando per la maggior parte del percorso, i tre generali furono consegnati al sommergibile e tornarono al loro paese sani e salvi. Ora sulle montagne in Pratalia si nascondevano ancora dieci Inglesi, continuò come se volesse autodiffendersi, non riuscì a farli fuggire prima di scendere a Roma. Il più anziano fra loro era il generale Michael Gampier-Pari, capo della missione militare inglese in Grecia all’inizio della guerra Greco- Italiana – grande coincidenza –, perchè aveva ammirato, come ha detto – l’esercito Greco in quell’eroico assalto ed era particolarmente caloroso con Meletiou.
Loli, però, non era più attento, non poteva essere attento. Il suo pensiero era concentrato all’occasione incredibile che gli veniva presentata. Questo gruppo degli ufficiali Inglesi non riceveva aiuto da nessuna parte. Viveva alla mercé della popolazione e di un’organizzazione locale. La fuga dei tre generali fu organizzata
direttamente da un gruppo antifascista di Pesaro. A Roma, nel Vaticano, gli uomini dell’ambasciata Inglese non potevano sapere alcunché. Dovevano tenerli aggiornati, pensava. La sua mente si era incendiata. Dovevano avvicinarli ed offrirgli i loro servizi come organizzazione alleata. Sino ad ora non era riuscito mai ad essere accettato presso l’ambasciata inglese del Vaticano. Le due volte che lo aveva richiesto, presentando un rapporto dettagliato tramite un comune conoscente, aveva ricevuto un piccolo aiuto economico, impersonale e formale. Ben accetto anche questo certamente, ma non ci fu alcun contatto, neanche qualche prospettiva per l’accesso più facile in futuro. Ora però …i suoi battiti aumentarono, era diventato rosso in volto dalla sua agitazione. Adesso gli veniva data l’occasione di mettere piede sulla porta degli Inglesi, non come mendicanti, ma come compagni e soccorritori nella lotta comune. Loli abbracciò Meletiou e iniziò a ballare.
Più o meno così mi ricordo anch’io Teodoro Meletiou. Quando veniva a farci visita, di solito una o due volte l’anno (perché si sposò con Alessandra mezza Ceca e mezza Italiana dalle Marche) e viveva permanentemente a Milano, anche Console Onorario di Grecia), correvamo noi piccoli ad abbracciarlo e ballavamo dalla nostra gioia. Mi lanciava per aria, per un momento diventavo un uccello, e mi riprendeva di nuovo prima che la paura potesse avere un effetto negativo sull’eccitazione del volo. Dopo tirava fuori dalle sue tasche tante cose magiche, lecca-lecca, cioccolatini Perugina e strani tesori dall’Egitto – una gatta d’ambra mi ricordo, che fu per anni preziosa compagnia nelle serate quando si spegneva la luce. Lo chiamavamo zio Teddy e tu sorridevi contento perché era tuo fratello. Oppure “uncle Teddy”, per la precisione, che non ti piaceva molto, ma dimenticavi di brontolare verso la tua Dinaki che ci ha allevati come se fossimo Inglesi ed ecco adesso che le figlie del Ministro Greco non parlano la lingua Greca se non come seconda lingua. Quando veniva zio Teddy tutti i dispiaceri sparivano, la casa cambiava aspetto e la mamma (Dina) rideva.
Un anno, il giorno dell’Epifania ci fece visita, mi ricordo. Giorno nostalgico per te, che risvegliava in te memorie della splendente cerimonia sul fiume Lithaio e la nonna Eftimia, che vi cambiava e
adornava e andavate tutti insieme, ma non ne voleva neanche sentire del tuo desiderio di tuffarti nelle acque gelide per prendere la croce. Altre volte l’estro della nostalgia ti portava ancora più lontano e ci parlavi per la cerimonia dei “Plintirion” ad Atene antica, come se tu stesso fossi presente nel corteo, quando trasportavano la statua della dea Atena alla costa di Faliro e la buttavano in mare perché ritrovasse le sue sacre forze. Ed allora ammiravi e gioivi come un bambino piccolo perchè questa santa festa dell’Epifania aveva le sue radici nella gloriosa antichità dei Greci.
Sì, un altro tuo tormento questo, la religione, che per te aveva rapporti con radici e tradizioni in Grecia e di conseguenza non ridevamo mai per qualcosa di sacro. Per la tua Dinaki, però, essendo figlia di Greci residenti all’estero cresciuta con l’immagine dell’aristocrazia britannica, altre cose erano più sacre. Per lei la religione era forse l’ordine, l’etichetta, il galateo e la tavola apparecchiata bene – e questo era la causa di frequenti litigi fra voi due. Ogni Venerdì Santo indispensabilmente c’era il solito litigio. Tu volevi fare il digiuno durante la Settimana Santa, noi eravamo più rilassati. Neanche l’olio, dicevi, cosi vi ha insegnato la signora Eftimia da ragazzi, non apparecchiamo neanche la tavola Venerdì Santo. E mangiavi con il broncio le tue lenticchie sul bordo della tavola ben lucidata, senza olio, confinato, senza tovaglia, mentre la mamma lo mescolava per farti un favore e noi più in là mangiavamo spudoratamente e sfarzosamente. Lo stesso avveniva durante l’Epifania – quasi ridicolo il borbottio che veniva fuori ogni volta con il pretesto delle usanze religiose della nostra razza e finiva sempre in litigio. Unica eccezione che si distingue nella mia mente era che quell’anno nel giorno dell’Epifania in cui ci fece visita lo zio Teddy. Mi ricordo che ci raccontava barzellette e tutti eravamo felici. Mamma rideva molto, che si era dimenticata di brontolare quando è arrivato il prete deciso come sempre a benedire con l’acqua santa tutte le stanze, le cantine, i nostri bagni e gli angoli nascosti della casa. Il suo solito commento, tanto fastidiosamente diligente in quanto tu ogni anno gli davi la mancia così irragionevolmente lauta, ci è sembrato per qualche motivo esilarante. La sua solita insistenza a seguirlo con uno straccio in mano ed asciugare i mobili di Saridis in modo che non si
macchiassero con l’acqua santa ci sembrò una graziosa stranezza della buona mamma e tu hai dimenticato di fulminarla con la solita rabbia del credente. Quando veniva zio Teddy, spargeva attorno a se un irresistibile energia e ci univa tutti in un abbraccio. La casa ritrovava le sue sacre forze e ci riempivamo di fede nella gioia della vita.
Il generale inglese Michael Gampier-Pari giunse a Roma in data 13 gennaio 1944, stanco ed afflitto. Il viaggio dalla Pratalia montagnosa fu difficile, pieno di pericoli e disavventure che furono scongiurate all’ultimo momento, grazie al coraggio e all’ingegnosità di Teddy Meletiou. Sebbene confortato ed eccezionalmente riconoscente all’organizzazione Greca che coprì la sua fuga, il generale Inglese rimase inquieto e preoccupato ed un po’ lamentoso. La pensione Capri non era quello che immaginava. Lui chiedeva di agevolarlo perché continuasse il suo viaggio verso sud in modo da oltrepassare le linee del nemico ed unirsi ai suoi. Però una tale possibilità la loro organizzazione non la possedeva, come gli fu spiegato chiaramente da Mancini, il comandante del gruppo Greco. Che lo portassero all’ambasciata inglese del Vaticano dunque, pretese più logicamente il generale. Ma neanche questo poteva avvenire. Gli stessi suoi compaesani avevano respinto la sua richiesta. La situazione era complicata, gli avevano spiegato nella loro lettera inviatagli lo stesso giorno tramite Meletiou. L’ingresso di un generale nella zona franca sarebbe potuto essere scoperto e avrebbe creato problemi molto seri. Avrebbero cercato dunque di sistemarlo a Roma e nel frattempo gli avevano inviato ventimila lire perchè si vestisse – anche se dubitavano, come gli avevano scritto, che sarebbe stato possibile procurarsi dei vestiti a Roma, dove in generale non si trova niente, e sarebbe forse stato necessario spedire i vestiti in loro possesso. Non ha resistito il povero generale. Come sarebbe sopravvissuto, ha chiesto innervosito a Meletiou. I suoi vestiti erano diventati dei cenci, le sue scarpe erano rotte e con difficoltà riusciva a tenerle sui suoi piedi infreddoliti. Non poteva neanche mettere il naso fuori dalla pensione Capri senza almeno un cambio di vestiti decente. Come poteva vivere a Roma? Cosa sarebbe avvenuto in futuro?
Domani è una nuova giornata, affermò Meletiou, con quella irresistibile fede che lo caratterizzava anche nei momenti più difficili.
Non devi preoccuparti di niente. Tutto sarà sistemato.
E nonostante non si fosse convinto il generale, ma un po’ più tranquillo ora, si mise a dormire dodici ore senza interruzioni.
La mattina del giorno dopo, Loli e Meletiou arrivarono alla pensione con un calesse – la cui tenda era del tutto sollevata – e trasportarono il generale in uno dei punti più centrali di Roma. Il percorso era breve. Dopo non molto il calesse si fermò fuori da un negozio ed i tre passeggeri scesero frettolosamente. Il proprietario, signor Leone, era stato avvisato e li attendeva. Non era la prima volta che il marito di Carla forniva indumenti poco costosi dal suo negozio ai Greci fuggitivi, e per la precisione ad un terzo del loro prezzo effettivo. Questa volta, però, era diverso. Leone poteva anche non conoscere molti dettagli – principio inviolabile, per motivi di sicurezza – ma non era stupido. Era la prima volta che vedeva Mancini tanto generoso. “Zio Michele”, come chiamavano l’uomo biondo con gli occhi azzurri ed il bel fisico, voleva il meglio ed aveva i soldi per pagarlo. Doppiamente servizievole il negoziante condusse subito i tre visitatori nel suo ufficio ed iniziò a portarli degli articoli nascosti, che mai fino ad allora aveva mostrato a Loli.
In meno di un’ora il buon Zio Michele era vestito elegantemente: abito, cravatta, gilè, capotto, guanti, cappello, ed accessori – tutti di qualità tale che solamente prima della guerra poteva trovare e solo in negozi di alto livello. Lo spettacolo di se stesso nello specchio cambiò immediatamente l’umore del generale. Ecco dunque che l’organizzazione dei Greci poteva ottenere cose irrealizzabili per gli altri. La sua sorte era in buone mani. E per tutto il percorso di ritorno guardava i suoi due salvatori con rinnovato rispetto.
Più tardi, però, verso sera, all’ora in cui Loli e Meletiou tornavano ormai a casa per riposarsi, una notizia eccezionalmente preoccupante da una fonte fidata portò nuova inquietudine nella loro compagnia. Qualcuno aveva parlato, sembra, qualcosa si è venuto a sapere e dovevano far fuggire subito il generale dalla pensione Capri. Dove potevano andare, però? Il tempo premeva, non c’erano molte scelte. Fra un po’ iniziava il divieto di circolazione. Loli corse di nuovo alla pensione, cos’altro poteva fare? A malapena fece in tempo a tornare a
casa sua, assieme all’Inglese, prima che la città si paralizzasse per un’altra notte di schiavitù.
L’appartamentino che dividevano i due amici, all’estremità della città, non aveva alcuna sontuosità. Due divani stretti in tutto, un tavolo con due sedie, un rudimentale spazio “cucina” in un angolo ed un microscopico w.c. Non c’era alcuna comodità per ospitare altri visitatori. Il generale Michael Gampier-Pari era costretto a mangiare e dormire alla buona. Loli era sicuro che si sarebbe lamentato. Meletiou si fece in quattro per intrattenerlo. Meno male che l’Inglese era silenzioso. Quello che c’era lo avrebbero diviso con gioia, ha detto Loli, e si sedettero a mangiare. Di pane ne avevano parecchio, raffermo sì, ma con due gocce d’olio sarebbe stato buonissimo e nutriente. E per piatto principale un minestrone di verdure secche ed altre belle cose che aveva raccolto Meletiou tornando da Pratalia – “Unbelievable” commentò il generale – questa era la loro ricetta segreta per “minestrone gourmet della guerra”. Risero. Bevvero poco vino. Gampier-Pari si guardava attorno con un certo stupore negli occhi. “Come è strano il destino…” sembrava commosso. Chi lo avrebbe detto, quando combatteva con l’esercito Greco in Albania, che si sarebbe ritrovato poi in ostaggio in Italia e sarebbe stato debitore di tante cose ai Greci fuggitivi, forse anche della sua stessa vita. Dopo alzò il suo bicchiere e aggiunse con una certa ufficialità: “Mi dispiace dirlo, ma credo che la vostra organizzazione sia superiore a qualsiasi altra”.
I due Greci risero in modo imbarazzato e lo ringraziarono per le sue buone parole.
“Ho intenzione di indirizzarvi una lettera un po’ ufficiale” ha continuato il generale. “Non lettera personale, avete capito, ma indirizzata a tutta la vostra organizzazione, per esprimere i miei ringraziamenti per tutto ciò che avete fatto per me. La comunicherò anche alla nostra ambasciata. Ditemi dunque, dove la devo indirizzare? Quale è il nome della vostra organizzazione? ”
Un silenzio di un minuto…. Quale organizzazione e formalità? Ognuno ha fatto quello che poteva – e di nome naturalmente non ne esisteva alcuno. Però avevano dato un’altra impressione agli Inglesi. Li avevano ingannati volutamente, per guadagnare il loro rispetto e
per convincerli di collaborare….
“Libertà o Morte”, sparò Loli un po’ più forte di quanto sarebbe stato consono.
“Ah, molto bene” ha detto il generale, che non notò nulla di strano nell’intensità del momento. “Se mi ricordo bene, in Grecia mi hanno detto che le sillabe delle parole corrispondono alle strisce della vostra bandiera e che questo era il segnale nazionale dei Greci nella lotta per la vostra indipendenza”.
“Certamente, certamente” convenne Loli alleggerito per non essersi tradito. Nessuna bugia avrebbe rovinato il loro rapporto con l’ambasciata Inglese, al contrario rimediarono molto bene.
E così, quella sera il gruppo greco segreto fu battezzato con il nome inatteso e piuttosto pomposo: “Libertà o Morte”.
E impercettibilmente, come spesso accade, le parole danno forma al modo di dire, ed esattamente da quel momento il nome “Libertà o Morte” iniziò a colorare in modo nuovo l’azione e l’andamento dell’organizzazione.
Loli = Evanghelos Averof Tosizza, scrittore Greco, Ministro degli Esteri e della Difesa in Grecia e tutore di Nicolas dopo la morte di Teodoro nel 1964.
Three people received a big welcome from the Monsignor and John May. ‘Bill,’ said John May, ‘meet the “Liberty or Death” boys, Ted Meletiou and Angelos Averoff.’ These two Greeks, both escaped prisoners, had earlier organized many Greek escapers in and near Rome. Now they had joined our organization. Their Italian was fluent. A resourceful pair, they had somehow acquired from an unsuspecting German headquarters the necessary permits to travel by car anywhere in Italy. Already they had made several long-distance trips for Sam Derry and had brought back detailed information on groups of escapers in areas as far north as Florence. ‘And this charming lady,’ said the Monsignor, ‘is their travelling companion – Scots too – Mrs Mary Boyd.’ A pleasant companion, I thought, observing her profile. Mrs Boyd had spent most of the war in a civil internment camp near Florence. When released after the Armistice, she had encountered our Greek friends, with whom she was now sharing heavy risks. On an earlier trip north Ted Meletiou, code-named Mario, had located a trio of British generals, in hiding on a farm. Derry had sent Mario back with funds and instructions to bring one of them to Rome. To the Monsignor’s request for a ‘really secure hiding-place’, Brother Robert had produced the answer. Signora DiRienzo, Italian by marriage, English by birth, and niece of Lord Strickland, ex-Governor-General of Malta, had a secret room in her large home in Rome. Now Major-General M.D. Gambier-Parry, captured by the Germans while commanding a British Armoured Division in the Libyan Desert in 1942, was the best concealed escaper in Rome. Evangelos Averoff-Tossiza, an important figure in pre-war Greek politics, had been interned in Italy when, as Prefect of Corfu, he refused to continue in office under Italian Occupation. Billets? Mario would see what he could do, but in two days he was leaving again with Mrs Boyd with money and supplies to visit several towns and villages up north, particularly areas where large concentrations of liberated POWs were still dependent on the support of local Italians. They were distributing close to one million lire per month of Sam Derry’s funds. Silent on the tram with Renzo, I reflected on the contrasting characters I was meeting on each visit to the Monsignor’s quarters, individuals whose diversity in nationality, social station, sex, age, profession, war status, religion, disappeared in their shared objective of obstructing the common enemy. The task in hand called on their capacity to keep free two hundred escapers within the city, and many hundreds more outside. Some I had met here only once, such as Bruno the Yugoslav in prison, and the two Greeks of today who, with their Italian-speaking Scotswoman, were the long-range operators penetrating as far north as Milan. American Monsignor McGeough of the Vatican, tall and stock-ily-built, whose genial smile detracted not at all from the notion one gained of his inner strength, concentrated on American escapers of which Rome so far held only about a score. The US acting Presidential representative to the Holy See, Harold Tittmann, found in Monsignor McGeogh a willing liaison with Monsignor O’Flaherty in organizing help to fugitive Jews as well as to American escapers.
Simpson, William. A Vatican Lifeline ’44: Allied Fugitives aided by the Italian Resistance foil the Gestapo in Nazi-occupied Rome (posizioni nel Kindle 2088-2092). Leo Cooper. Edizione del Kindle. [:en]
Mio padre Teodoro Meletiou è nato a Mansura il 18 Maggio 1916 e morto in Monfalcone il 24 Giugno 1964.
Il corpo consolare di Milano
Theodore Meletiou – Console Generale della Grecia
Cambio della guardia al Consolato Generale della Grecia: da pochi mesi si è inseditao il nuovo Console Generale Onorario: il signor Theodore Meletiou. Il nuovo Consolato Generale è sorto per merito suo in viale Maino 11.
Mentre lo attendevamo per l’intervista di rito nella sua sede, notammo una certa aria elettrizzante, dovuta certamente alla visita della Principessa Irene di Grecia, che di passaggio a Milano per Genova, dove doveva assistere alle gare nautiche del fratello Costantino, Erede del Trono – fece un salto in Viale Maino – onorando così con la sua presenza il nuovo Consolato Generale del suo Paese.
L’elegante e sobrio arredamento del salotto era tutto rivestito di azzurro con ornamenti bianchi: poltrone accoglienti, divani, tende con questi freschi colori.
– “Colori della nostra bandiera” – ci illumina il sorridente giovane Console. Ci mostra subito un esemplare della bandiera greca in miniatura: cinque strisce blu intercalate con quattro strisce bianche. “Il significato della bandiera contiene un motto vitale per tutti noi greci: Libertà o morte; le sillabe della parola libertà sono cinque (le cinque strisce azzurre), quelle della morte quattro (le quattro strisce bianche). Senza libertà non possiamo vivere”.
Gli domandammo come mai parlasse così bene la nostra lingua, dato che appena da sei mesi copre la carica di Console Generale a Milano.
“Vivo da parecchi anni in Italia. Ho imparato (caso strano, non vi pare?) ad amare questo paese, durante la mia prigionia; ho combattuto sul fronte greco-italiano e fui preso in Albania. Per 30 mesi sono stato
‘ospite’ in vari campi di prigionia, poi fuggiasco, in seguito partigiano e vice-capo di un’organizzazione clandestina chiamata, appunto, ‘Libertà o morte’. Capo di questa organizzazione era l’attuale Ministro degli Esteri in Grecia, Averoff Evanghelos. Comunque, la mia prigionia non fu pesante, il trattamento fu umano e così decisi, che a guerra terminata mi sarei stabilito in Italia. Infatti nel 1947 ho fondato tre aziende tra Palazzolo sull’Oglio e Bergamo: una d’importazione di madreperla, una per la fabbricazione di materie plastiche per bottoni e un’azienda di costruzioni a Bergamo.
Il Consolato è il mio ‘hobby’” conclude il cordialissimo Console generale.
Alla nostra osservazione che tutte le sue attività gli portano indubbiamente via molto tempo, egli ribatte: “E’ questione di organizzazione. Ho i miei collaboratori che mi vengono a riferire sull’andamento delle aziende due volte a settimana. Ho quindi tempo in abbondanza per curare gli interessi del mio Paese ed anche di rappresentare ufficialmente la Grecia nelle varie manifestazioni della vita consolare e sociale”.
Il Console Generale, signor Meletiou, è nato in Egitto a Mansura; ha frequentato l’Università ad Atene ed è sposato. Non sappiamo che cosa chiedergli sulla Grecia, che noi ed i nostri lettori, o per studi dei bei tempi liceali o per aver fatto del turismo in quel Paese, ben conosciamo. Ma anche qui il Console Meletiou ci viene in aiuto e ci spiega che la Grecia è stata uno dei primi Paesi sottoposti alla Riforma Agraria. Già dal 1928 al 1932 durante l’era di Venizelos ebbe inizio la grande riforma e da allora non ci sono più delle grandi ricchezze in Grecia. “Nè grandi ricchezze, nè grandi povertà” ci spiega il nostro Ospite.
“Ed Onassis?”, osiamo osservare.
“Onassis? D’accordo, è un grande armatore greco, ma fa parte dei tanti connazionali ricchi che vivono all’estero. In fatto di flotta mercantile, la Grecia possiede una fra le prime tre delle più grosse del mondo. Mi domandate delle industrie greche? Esportazione di tabacco, olio, uva secca ed… importazione di turisti!”.
Il nostro ospite ci mostra la sua piccola e perfetta organizzazione turistica: alle scuole ed ai privati vengono spedite delle buste che portavano la stampa: “Visitate la Grecia. Oggi è il paese meno costoso per i turisti. Sarà una vacanza diversa da tutte le altre”. Esse contengono pieghevoli a colori, redatti scrupolosamente ed illustrati al massimo.
Poi ci mostra copie in marmo delle celebri statue greche. Alla sua cordialità il Console Generale Meletiou unisce una profonda cultura e noi lasciamo l’accogliente ed ospitale Consolato pieni di desiderio di ammirare al naturale tutto quel patrimonio storico ed artistico di schietta importanza turistica delineatoci da un illustre Cicerone quale il Console Generale, nella sua qualità di profondo conoscitore ed amatore della Storia, delle usanze e dei costumi del proprio Paese, mentre ci ritorna in mente che solo chi sa amare profondamente il proprio Paese, riesce a voler bene a quello di cui è ospite.
Ghitta Hussar
Qualche mese fa il signor Pierangelo Bonazzoli che conduce ricerche sui fatti e le vicende della liberazione in Toscana e precisamente in Casentino a Poppi, mi scrisse chiedendomi se poteva esser mio padre, un certo Avv. Melitio Teodoro, figura citata su un testo storico.
Mi ricordai subito che mio padre Teodoro Meletiou era stato prigioniero due volte in Italia dai fascisti di allora ed era quindi molto probabile che si trattasse di lui (il cognome scritto male era stato sicuramente un errore dovuto alla diversa lingua e pronuncia). Gli risposi subito.
In una sua successiva lettera il signor Bonazzoli mi disse che era riuscito a trovare la famiglia Certini che aveva ospitato mio padre e che aveva un vivo ricordo di lui. Ricordavano che mio padre era ritornato durante il dopoguerra in quei luoghi ma con loro rammarico
non avevano avuto modo di rivederlo.
Dopo qualche tempo trovai sul libro “Dieci vite in una” di Tatiana Averof, figlia di Evanghelos (Loli), un capitolo, il numero 28, che parlava proprio della Famiglia Certini e del legame che si era creato con mio padre. Il capitolo si intitola “Libertà o morte” e lo riporto di seguito:
NON PARLAVANO MOLTO FRA DI LORO, non con parole almeno.
Comunicavano tacitamente, con gli occhi, con i respiri, con i neuroni – come se ognuno parlasse con se stesso, così anche con il fratello. Teodoro Meletiou, tenente dell’esercito greco, proveniente da Mansura in Egitto, era evaso dalla caserma di Popi. Aiutato a fuggire a Roma dall’organizzazione segreta di Loli nel dicembre del 1943. La sua fama però lo precedeva. Nessun prigioniero aveva sviluppato un’azione del genere nella zona dopo la sua evasione, come ha informato Loli il suo contatto a Popi. Collaborava con le organizzazioni locali della Resistenza e, come dicevano le voci, non aveva mai fallito in alcuna missione, per quanto pericolosa fosse. Sveglio, coraggioso e perfetto conoscitore della lingua italiana, Teodoro Meletiou – oppure Mario Certini, grazie al giuramento falso di quattro testimoni presso l’ufficio comunale di Popi – si è dimostrato immediatamente prezioso collaboratore di Loli e i due uomini si sono legati come fratelli.
Quella mattina, a fine dicembre circa, due rispettabili italiani, Mario Certini e Angelo Moncini – piuttosto presentabili con i cappelli ed i soprabiti lunghi – scendevano spensierati verso Piazza di Spagna. Avevano imparato ormai a recitare il loro ruolo e l’esperienza gli aveva dimostrato che le loro Carte d’Identità non presentavano alcun segno esterno di falsità. Qualora si celasse nel loro animo qualche piccolo brivido di paura, cosa particolarmente naturale oggi che avevano una missione pericolosa, tuttavia nessun segno visibile tradiva nemmeno una minima esitazione. Con passo costante, sciolto, i due uomini scesero i famosi Gradini di Spagna e si imboccarono Via Condotti, dove erano concentrati tutti i negozi aristocratici. Restarono per un po’ a far finta di guardare le vetrine, l’uno rimase un po’ più
indietro, la distanza fra loro aumentava pian piano, sino a quando pareva che non fossero insieme. Loli si fermò un attimo davanti alla magnifica gioielleria BULGARI e salutò il custode con i capelli bianchi che sorvegliava l’ingresso.
“Prego, signor Angelo, vi stanno aspettando” – gli fece cenno lui verso l’interno del negozio.
Loli attraversò lo spazio luminoso dell’esposizione, aprì la porta segreta che c’era in fondo e si trovò in una grande sala lunga e stretta dove alcuni artigiani stavano lavorando concentrati sulle pietre preziose e sull’oro.
Procedette velocemente fino all’altra estremità del laboratorio, ammirando di nuovo quel demonio del sig. Sotiris Voulgaris in Greco Σωτήρ Βούλγαρη – che iniziò dalla povera Paramithià nel 1880 avendo come uniche dotazioni l’arte del lavoratore d’argento e la sua laboriosità e creò in pochi anni quel colosso.
“Angelo, Angelo, come sta?” sempre gentile Giorgio, secondo figlio del signor Sotiris, gli diede il benvenuto in un ufficio buio e chiuse la porta dietro di sè.
“Eccezionalmente bene”. Loli lo abbracciò, chiese di suo fratello, che è sempre sommerso nei suoi lavori, e riprese con i ringraziamenti a nome di tutti i Greci, per il loro generoso e premuroso contributo per qualsiasi cosa e in qualunque momento ne avessero avuto bisogno. “Non parlarne nemmeno” lo interruppe Giorgio. “Lo sai che il nostro cuore è sempre con voi. Non dimentichiamo le nostre radici”.
Lo sapeva bene Loli. I fratelli Bulgari, già da quando si trovavano a Feramonti, sia col pretesto delle presentazioni dei loro generi Zafiris Valvis e Giorgio Athanasiadis-Novas, o di altre persone note in Grecia, sia dopo le richieste dell’ambasciata Greca di Berna, avevano inviato denaro a diversi Greci che si trovavano nelle carceri, nelle caserme oppure in paesi d’Italia. Lo avevano spedito in modo plateale tramite posta oppure segretamente mediante un loro uomo che viaggiava a tale scopo in nord Italia. Delle cose segrete la polizia italiana non se ne è mai accorta. Ma del resto se ne è accorse e fu pretesto di seri problemi. Ma i due fratelli riuscirono a salvarsi. Salvarsi e continuare.
“Tutti a Feramonti conoscevamo il nome dei fratelli Bulgari” disse
Loli con decisione. “Era una delle mie poche speranze, quando scendevo a Roma come latitante. Però non potevo immaginare… cosi generosi… a questo livello…”.
“Bene, Bene” lo interruppe Giorgio “non facciamo tardi. Ecco: ciò che hai chiesto. Tieni”.
Una grande borsa nera passò da una mano ad un’altra.
Anziché continuare a dialogare, Loli si inchinò e si sfilò la scarpa. Bulgari lo guardava dubbioso.
“So che non avete mai voluto dimostrazioni scritte o altre conferme, ma…” – Loli continuava a cercare nel fondo della sua scarpa. “Questa volta l’importo è eccezionalmente grande, perciò…” tirò fuori un pezzo di carta attentamente piegato e lo offrì al suo interlocutore. “Abbiamo ritenuto giusto redigere questo verbale nel quale riferiamo dettagliatamente le modalità di disposizione del denaro e che quest’ultimo costituisce un prestito, da saldare dallo stato Greco al termine della guerra. Inoltre, nel caso quest’ultimo rifiutasse di pagare assumiamo noi tale responsabilità. Come vedrete unitamente a me sottoscrivono il comandante Kountouriotis, i coniugi Zanna e tutti i greci che si trovano a Roma come impiegati pubblici ed ufficiali”.
“Caro Angelo, che sciocchezze sono queste!”. Il signor Bulgari era commosso. “Ciò che conta è di continuare il lavoro importante che avete fatto per il salvataggio di tutti gli ostaggi Greci. Ognuno contribuisce come può”.
Tirò fuori dalla sua tasca il suo accendino, strappò il foglio in mille pezzi e li bruciò in un posacenere. “Vai ora” lo mandò via “stai molto attento uscendo da qua dentro. La vostra sicurezza prima di tutto”.
La sicurezza, sì…
Loli uscì dal negozio BVLGARI con la borsa nera sotto braccio, conoscendo molto bene che per quanto possano stare attenti, per quante misure meticolose possano prendere, non saranno mai sicuri. Il loro destino è determinato dal fattore Fortuna. Con lettera F maiuscola. Questa è quella che ride per ultima. Rabbrividiva ricordando che due giorni prima tornando spensierato con il tram, all’improvviso li fermarono e fecero scendere tutti gli uomini per controllare i loro documenti. Lo stesso è successo recentemente nei teatri, nei cinema ed in altri punti di frequentazione della città. I
sospetti venivano condotti in carcere, gli altri venivano inviati al lavoro sia nel fronte di Anzio che di Cassino sia per le strade dell’Italia centrale. Si ricorda lo shock, quando vide le camicie nere e gli ufficiali Tedeschi che li accerchiarono. Stranamente impassibile, tentò inizialmente di fuggire con un gruppo di invalidi, ma fallì. Accanto a lui un chirurgo confermò all’ufficiale capogruppo che lo attendevano per un’operazione urgente e gli mostrò i suoi documenti. Ma inutilmente. Era evidente che non c’era salvezza. Due donne dal tram si protesero con lamentosi urli per salvare i loro mariti. Tre camicie nere le trattennero a fatica, mentre la gente osservava sbigottita la scena. Da vicino anche Loli osservava, mentre pian piano si avvicinava alla zona di blocco, il quale nel frattempo si era allentato. O ora o mai, pensò. E si è lanciò. Lo separavano venti metri dall’angolo e dopo si sarebbe perso nel dedalo delle viuzze medioevali. Pochi minuti più tardi, tutto sudato ed affannato, si trovava seduto su un muretto in pietra di un angolo al riparo dal sole e cercava di accettare quello che era successo. Sì, è vero che Loli crede molto alla fortuna. La rispetta. La prende con le buone, le fa i voti nelle sue preghiere. Sa che non può contrariarla – e perciò alla fine la ignora.
Meletiou lo aspettava sul marciapiede di fronte gettando occhiate nervose verso l’ingresso dell’oreficeria. Le missioni pericolose se le spartiscono un po’ per uno ed oggi toccava a Loli di gettarsi nel fuoco. Il suo compagno lo seguirà semplicemente da una distanza di sicurezza, cercando di non perderlo di vista sino a quanto non sia certo che è arrivato sano e salvo a destinazione. Le misure fondamentali di previdenza non escludono purtroppo i pericoli. Almeno, però, nel caso venisse catturato Loli, potranno essere avvisati immediatamente l’ambasciata Svizzera e la Croce Rossa Internazionale, mentre gli altri membri del gruppo riusciranno a nascondersi. Senza alcun segno di riconoscimento, i due rispettabili Italiani partirono verso la stessa direzione, uno davanti, l’altro dietro, con grande distanza fra loro. Non se ne parlava nemmeno di prendere il tram. Camminarono per tutto il percorso evitando attentamente le vie frequentate. Così, poco più tardi., arrivarono alla pensione Capri stanchi ma eccitati e festeggiarono il loro successo con una bottiglia
di vino.
La fortuna fu buona con loro un’altra volta.
Le serate, quando non erano in qualche missione fuori Roma, le trascorrevano di solito in compagnia fra loro, scambiandosi storie e peripezie risalenti ai tempi prima di conoscersi. Loli parlava delle sue imprese a Corfù in qualità di prefetto, della sua azione a Larissa che condusse alla sua cattura e della sua strana amicizia con Tositsas per corrispondenza per molti anni senza essersi mai conosciuti. Meletiou gli raccontava storie dalle battaglie eroiche dopo l’invasione Tedesca in Grecia e di come fu catturato alla vigilia della sua partenza e fu esiliato a Popi. Là – a Popi ed a Feramonti, rispettivamente – si fermava improvvisamente il tempo dei racconti, come se i due uomini avessero tacitamente concordato di esiliare l’esperienza della caserma dalle loro memorie comuni, e iniziavano di nuovo le storie dalla loro fuga in poi. Adesso ormai coabitavano in un appartamento all’estremità della città, di quelli che concedevano i fidati dell’organizzazione ed erano assolutamente sicuri. La pensione Capri veniva utilizzata ormai solo per l’alloggio provvisorio di quelli che arrivavano per la prima volta a Roma sporchi, coperti di cenci e impauriti, fino alla loro sistemazione altrove. L’idea per questa nuova strategia fu inizialmente di Carla, che li avvertì, a dire il vero con molto tatto, che un alloggio più duraturo nella pensione avrebbe potuto suscitare dei sospetti nelle autorità. Sembrava che anche lei avesse sospettato da tempo che qualcosa non andasse bene da quanto le aveva rivelato il suo nuovo amico Angelo Mancini, ma doveva prima accertarsene. Se si fosse sbilanciata anzitempo con lui, sarebbero potute verificarsi conseguenze disastrose per l’organizzazione antifascista alla quale appartenevano sia lei stessa sia suo marito. Attentamente dunque, un passo alla volta, fu cercata e conquistata la fiducia fra le due parti – che era ormai assoluta e poco affettiva.
Una sera sotto la luce delle candele –la corrente era stata interrotta di nuovo dopo i recenti bombardamenti degli Alleati- Meletiou iniziò a raccontare un’altra avventura incredibile che avvenne poco prima che si conoscessero: era giunta voce ai suoi amici antifascisti a Popi che da qualche parte in un altopiano oppure in un paese dimenticato della
montagnosa Pratalia, erano nascosti alcuni ufficiali superiori Inglesi. Fu incaricato di indagare su tali voci e, poiché c’erano tali fuggitivi, di entrare in contatto con loro. Una missione per niente facile, sottolineò a questo punto, allo scopo di far salire il termometro del suo racconto e d’altronde, rinchiusi come erano nel buio e nel divieto di circolazione notturno, non avevano da fare nient’altro. Per niente facile, ribadì. Le tracce lo guidarono in un inseguimento infinito, dalla casa del prete di un quartiere montagnoso al mugnaio del paese di fronte, alla vedova, al vetturino, al picchiatello, fino a quando non si ritrovò una compagnia inaspettata: in un mulino in rovine, all’estremità del nulla, erano rifugiati sette tra ufficiali Inglesi e briganti, un’ufficiale Sudafricano di nome Armostrong, l’Inglese maresciallo Niim, che era precipitato con il suo aereo in Italia e quattro soldati Britannici – tutti disperati ed in stato pietoso. Loli ascoltava estasiato mentre il suo amico continuava la sua storia soddisfatto di aver trovato un ascoltatore così buono: i tre più anziani – Niim ed altri due generali – si decise di farli fuggire per primi. Senza fretta o riflessione, tutto fu organizzato con perfezione. Percorsi, collegamenti, contatti. La sua missione era quella di condurli in un paese dell’Adriatico vicino a Pesaro, dove li avrebbe attesi un sommergibile Inglese. E naturalmente la missione fu portata a termine: dopo mille peripezie e camminando per la maggior parte del percorso, i tre generali furono consegnati al sommergibile e tornarono al loro paese sani e salvi. Ora sulle montagne in Pratalia si nascondevano ancora dieci Inglesi, continuò come se volesse autodiffendersi, non riuscì a farli fuggire prima di scendere a Roma. Il più anziano fra loro era il generale Michael Gampier-Pari, capo della missione militare inglese in Grecia all’inizio della guerra Greco- Italiana – grande coincidenza –, perchè aveva ammirato, come ha detto – l’esercito Greco in quell’eroico assalto ed era particolarmente caloroso con Meletiou.
Loli, però, non era più attento, non poteva essere attento. Il suo pensiero era concentrato all’occasione incredibile che gli veniva presentata. Questo gruppo degli ufficiali Inglesi non riceveva aiuto da nessuna parte. Viveva alla mercé della popolazione e di un’organizzazione locale. La fuga dei tre generali fu organizzata
direttamente da un gruppo antifascista di Pesaro. A Roma, nel Vaticano, gli uomini dell’ambasciata Inglese non potevano sapere alcunché. Dovevano tenerli aggiornati, pensava. La sua mente si era incendiata. Dovevano avvicinarli ed offrirgli i loro servizi come organizzazione alleata. Sino ad ora non era riuscito mai ad essere accettato presso l’ambasciata inglese del Vaticano. Le due volte che lo aveva richiesto, presentando un rapporto dettagliato tramite un comune conoscente, aveva ricevuto un piccolo aiuto economico, impersonale e formale. Ben accetto anche questo certamente, ma non ci fu alcun contatto, neanche qualche prospettiva per l’accesso più facile in futuro. Ora però …i suoi battiti aumentarono, era diventato rosso in volto dalla sua agitazione. Adesso gli veniva data l’occasione di mettere piede sulla porta degli Inglesi, non come mendicanti, ma come compagni e soccorritori nella lotta comune. Loli abbracciò Meletiou e iniziò a ballare.
Più o meno così mi ricordo anch’io Teodoro Meletiou. Quando veniva a farci visita, di solito una o due volte l’anno (perché si sposò con Alessandra mezza Ceca e mezza Italiana dalle Marche) e viveva permanentemente a Milano, anche Console Onorario di Grecia), correvamo noi piccoli ad abbracciarlo e ballavamo dalla nostra gioia. Mi lanciava per aria, per un momento diventavo un uccello, e mi riprendeva di nuovo prima che la paura potesse avere un effetto negativo sull’eccitazione del volo. Dopo tirava fuori dalle sue tasche tante cose magiche, lecca-lecca, cioccolatini Perugina e strani tesori dall’Egitto – una gatta d’ambra mi ricordo, che fu per anni preziosa compagnia nelle serate quando si spegneva la luce. Lo chiamavamo zio Teddy e tu sorridevi contento perché era tuo fratello. Oppure “uncle Teddy”, per la precisione, che non ti piaceva molto, ma dimenticavi di brontolare verso la tua Dinaki che ci ha allevati come se fossimo Inglesi ed ecco adesso che le figlie del Ministro Greco non parlano la lingua Greca se non come seconda lingua. Quando veniva zio Teddy tutti i dispiaceri sparivano, la casa cambiava aspetto e la mamma (Dina) rideva.
Un anno, il giorno dell’Epifania ci fece visita, mi ricordo. Giorno nostalgico per te, che risvegliava in te memorie della splendente cerimonia sul fiume Lithaio e la nonna Eftimia, che vi cambiava e
adornava e andavate tutti insieme, ma non ne voleva neanche sentire del tuo desiderio di tuffarti nelle acque gelide per prendere la croce. Altre volte l’estro della nostalgia ti portava ancora più lontano e ci parlavi per la cerimonia dei “Plintirion” ad Atene antica, come se tu stesso fossi presente nel corteo, quando trasportavano la statua della dea Atena alla costa di Faliro e la buttavano in mare perché ritrovasse le sue sacre forze. Ed allora ammiravi e gioivi come un bambino piccolo perchè questa santa festa dell’Epifania aveva le sue radici nella gloriosa antichità dei Greci.
Sì, un altro tuo tormento questo, la religione, che per te aveva rapporti con radici e tradizioni in Grecia e di conseguenza non ridevamo mai per qualcosa di sacro. Per la tua Dinaki, però, essendo figlia di Greci residenti all’estero cresciuta con l’immagine dell’aristocrazia britannica, altre cose erano più sacre. Per lei la religione era forse l’ordine, l’etichetta, il galateo e la tavola apparecchiata bene – e questo era la causa di frequenti litigi fra voi due. Ogni Venerdì Santo indispensabilmente c’era il solito litigio. Tu volevi fare il digiuno durante la Settimana Santa, noi eravamo più rilassati. Neanche l’olio, dicevi, cosi vi ha insegnato la signora Eftimia da ragazzi, non apparecchiamo neanche la tavola Venerdì Santo. E mangiavi con il broncio le tue lenticchie sul bordo della tavola ben lucidata, senza olio, confinato, senza tovaglia, mentre la mamma lo mescolava per farti un favore e noi più in là mangiavamo spudoratamente e sfarzosamente. Lo stesso avveniva durante l’Epifania – quasi ridicolo il borbottio che veniva fuori ogni volta con il pretesto delle usanze religiose della nostra razza e finiva sempre in litigio. Unica eccezione che si distingue nella mia mente era che quell’anno nel giorno dell’Epifania in cui ci fece visita lo zio Teddy. Mi ricordo che ci raccontava barzellette e tutti eravamo felici. Mamma rideva molto, che si era dimenticata di brontolare quando è arrivato il prete deciso come sempre a benedire con l’acqua santa tutte le stanze, le cantine, i nostri bagni e gli angoli nascosti della casa. Il suo solito commento, tanto fastidiosamente diligente in quanto tu ogni anno gli davi la mancia così irragionevolmente lauta, ci è sembrato per qualche motivo esilarante. La sua solita insistenza a seguirlo con uno straccio in mano ed asciugare i mobili di Saridis in modo che non si
macchiassero con l’acqua santa ci sembrò una graziosa stranezza della buona mamma e tu hai dimenticato di fulminarla con la solita rabbia del credente. Quando veniva zio Teddy, spargeva attorno a se un irresistibile energia e ci univa tutti in un abbraccio. La casa ritrovava le sue sacre forze e ci riempivamo di fede nella gioia della vita.
Il generale inglese Michael Gampier-Pari giunse a Roma in data 13 gennaio 1944, stanco ed afflitto. Il viaggio dalla Pratalia montagnosa fu difficile, pieno di pericoli e disavventure che furono scongiurate all’ultimo momento, grazie al coraggio e all’ingegnosità di Teddy Meletiou. Sebbene confortato ed eccezionalmente riconoscente all’organizzazione Greca che coprì la sua fuga, il generale Inglese rimase inquieto e preoccupato ed un po’ lamentoso. La pensione Capri non era quello che immaginava. Lui chiedeva di agevolarlo perché continuasse il suo viaggio verso sud in modo da oltrepassare le linee del nemico ed unirsi ai suoi. Però una tale possibilità la loro organizzazione non la possedeva, come gli fu spiegato chiaramente da Mancini, il comandante del gruppo Greco. Che lo portassero all’ambasciata inglese del Vaticano dunque, pretese più logicamente il generale. Ma neanche questo poteva avvenire. Gli stessi suoi compaesani avevano respinto la sua richiesta. La situazione era complicata, gli avevano spiegato nella loro lettera inviatagli lo stesso giorno tramite Meletiou. L’ingresso di un generale nella zona franca sarebbe potuto essere scoperto e avrebbe creato problemi molto seri. Avrebbero cercato dunque di sistemarlo a Roma e nel frattempo gli avevano inviato ventimila lire perchè si vestisse – anche se dubitavano, come gli avevano scritto, che sarebbe stato possibile procurarsi dei vestiti a Roma, dove in generale non si trova niente, e sarebbe forse stato necessario spedire i vestiti in loro possesso. Non ha resistito il povero generale. Come sarebbe sopravvissuto, ha chiesto innervosito a Meletiou. I suoi vestiti erano diventati dei cenci, le sue scarpe erano rotte e con difficoltà riusciva a tenerle sui suoi piedi infreddoliti. Non poteva neanche mettere il naso fuori dalla pensione Capri senza almeno un cambio di vestiti decente. Come poteva vivere a Roma? Cosa sarebbe avvenuto in futuro?
Domani è una nuova giornata, affermò Meletiou, con quella irresistibile fede che lo caratterizzava anche nei momenti più difficili.
Non devi preoccuparti di niente. Tutto sarà sistemato.
E nonostante non si fosse convinto il generale, ma un po’ più tranquillo ora, si mise a dormire dodici ore senza interruzioni.
La mattina del giorno dopo, Loli e Meletiou arrivarono alla pensione con un calesse – la cui tenda era del tutto sollevata – e trasportarono il generale in uno dei punti più centrali di Roma. Il percorso era breve. Dopo non molto il calesse si fermò fuori da un negozio ed i tre passeggeri scesero frettolosamente. Il proprietario, signor Leone, era stato avvisato e li attendeva. Non era la prima volta che il marito di Carla forniva indumenti poco costosi dal suo negozio ai Greci fuggitivi, e per la precisione ad un terzo del loro prezzo effettivo. Questa volta, però, era diverso. Leone poteva anche non conoscere molti dettagli – principio inviolabile, per motivi di sicurezza – ma non era stupido. Era la prima volta che vedeva Mancini tanto generoso. “Zio Michele”, come chiamavano l’uomo biondo con gli occhi azzurri ed il bel fisico, voleva il meglio ed aveva i soldi per pagarlo. Doppiamente servizievole il negoziante condusse subito i tre visitatori nel suo ufficio ed iniziò a portarli degli articoli nascosti, che mai fino ad allora aveva mostrato a Loli.
In meno di un’ora il buon Zio Michele era vestito elegantemente: abito, cravatta, gilè, capotto, guanti, cappello, ed accessori – tutti di qualità tale che solamente prima della guerra poteva trovare e solo in negozi di alto livello. Lo spettacolo di se stesso nello specchio cambiò immediatamente l’umore del generale. Ecco dunque che l’organizzazione dei Greci poteva ottenere cose irrealizzabili per gli altri. La sua sorte era in buone mani. E per tutto il percorso di ritorno guardava i suoi due salvatori con rinnovato rispetto.
Più tardi, però, verso sera, all’ora in cui Loli e Meletiou tornavano ormai a casa per riposarsi, una notizia eccezionalmente preoccupante da una fonte fidata portò nuova inquietudine nella loro compagnia. Qualcuno aveva parlato, sembra, qualcosa si è venuto a sapere e dovevano far fuggire subito il generale dalla pensione Capri. Dove potevano andare, però? Il tempo premeva, non c’erano molte scelte. Fra un po’ iniziava il divieto di circolazione. Loli corse di nuovo alla pensione, cos’altro poteva fare? A malapena fece in tempo a tornare a
casa sua, assieme all’Inglese, prima che la città si paralizzasse per un’altra notte di schiavitù.
L’appartamentino che dividevano i due amici, all’estremità della città, non aveva alcuna sontuosità. Due divani stretti in tutto, un tavolo con due sedie, un rudimentale spazio “cucina” in un angolo ed un microscopico w.c. Non c’era alcuna comodità per ospitare altri visitatori. Il generale Michael Gampier-Pari era costretto a mangiare e dormire alla buona. Loli era sicuro che si sarebbe lamentato. Meletiou si fece in quattro per intrattenerlo. Meno male che l’Inglese era silenzioso. Quello che c’era lo avrebbero diviso con gioia, ha detto Loli, e si sedettero a mangiare. Di pane ne avevano parecchio, raffermo sì, ma con due gocce d’olio sarebbe stato buonissimo e nutriente. E per piatto principale un minestrone di verdure secche ed altre belle cose che aveva raccolto Meletiou tornando da Pratalia – “Unbelievable” commentò il generale – questa era la loro ricetta segreta per “minestrone gourmet della guerra”. Risero. Bevvero poco vino. Gampier-Pari si guardava attorno con un certo stupore negli occhi. “Come è strano il destino…” sembrava commosso. Chi lo avrebbe detto, quando combatteva con l’esercito Greco in Albania, che si sarebbe ritrovato poi in ostaggio in Italia e sarebbe stato debitore di tante cose ai Greci fuggitivi, forse anche della sua stessa vita. Dopo alzò il suo bicchiere e aggiunse con una certa ufficialità: “Mi dispiace dirlo, ma credo che la vostra organizzazione sia superiore a qualsiasi altra”.
I due Greci risero in modo imbarazzato e lo ringraziarono per le sue buone parole.
“Ho intenzione di indirizzarvi una lettera un po’ ufficiale” ha continuato il generale. “Non lettera personale, avete capito, ma indirizzata a tutta la vostra organizzazione, per esprimere i miei ringraziamenti per tutto ciò che avete fatto per me. La comunicherò anche alla nostra ambasciata. Ditemi dunque, dove la devo indirizzare? Quale è il nome della vostra organizzazione? ”
Un silenzio di un minuto…. Quale organizzazione e formalità? Ognuno ha fatto quello che poteva – e di nome naturalmente non ne esisteva alcuno. Però avevano dato un’altra impressione agli Inglesi. Li avevano ingannati volutamente, per guadagnare il loro rispetto e
per convincerli di collaborare….
“Libertà o Morte”, sparò Loli un po’ più forte di quanto sarebbe stato consono.
“Ah, molto bene” ha detto il generale, che non notò nulla di strano nell’intensità del momento. “Se mi ricordo bene, in Grecia mi hanno detto che le sillabe delle parole corrispondono alle strisce della vostra bandiera e che questo era il segnale nazionale dei Greci nella lotta per la vostra indipendenza”.
“Certamente, certamente” convenne Loli alleggerito per non essersi tradito. Nessuna bugia avrebbe rovinato il loro rapporto con l’ambasciata Inglese, al contrario rimediarono molto bene.
E così, quella sera il gruppo greco segreto fu battezzato con il nome inatteso e piuttosto pomposo: “Libertà o Morte”.
E impercettibilmente, come spesso accade, le parole danno forma al modo di dire, ed esattamente da quel momento il nome “Libertà o Morte” iniziò a colorare in modo nuovo l’azione e l’andamento dell’organizzazione.
Loli = Evanghelos Averof Tosizza, scrittore Greco, Ministro degli Esteri e della Difesa in Grecia e tutore di Nicolas dopo la morte di Teodoro nel 1964. [:el]
Mio padre Teodoro Meletiou è nato a Mansura il 18 Maggio 1916 e morto in Monfalcone il 24 Giugno 1964.
Il corpo consolare di Milano
Theodore Meletiou – Console Generale della Grecia
Cambio della guardia al Consolato Generale della Grecia: da pochi mesi si è inseditao il nuovo Console Generale Onorario: il signor Theodore Meletiou. Il nuovo Consolato Generale è sorto per merito suo in viale Maino 11.
Mentre lo attendevamo per l’intervista di rito nella sua sede, notammo una certa aria elettrizzante, dovuta certamente alla visita della Principessa Irene di Grecia, che di passaggio a Milano per Genova, dove doveva assistere alle gare nautiche del fratello Costantino, Erede del Trono – fece un salto in Viale Maino – onorando così con la sua presenza il nuovo Consolato Generale del suo Paese.
L’elegante e sobrio arredamento del salotto era tutto rivestito di azzurro con ornamenti bianchi: poltrone accoglienti, divani, tende con questi freschi colori.
– “Colori della nostra bandiera” – ci illumina il sorridente giovane Console. Ci mostra subito un esemplare della bandiera greca in miniatura: cinque strisce blu intercalate con quattro strisce bianche. “Il significato della bandiera contiene un motto vitale per tutti noi greci: Libertà o morte; le sillabe della parola libertà sono cinque (le cinque strisce azzurre), quelle della morte quattro (le quattro strisce bianche). Senza libertà non possiamo vivere”.
Gli domandammo come mai parlasse così bene la nostra lingua, dato che appena da sei mesi copre la carica di Console Generale a Milano.
“Vivo da parecchi anni in Italia. Ho imparato (caso strano, non vi pare?) ad amare questo paese, durante la mia prigionia; ho combattuto sul fronte greco-italiano e fui preso in Albania. Per 30 mesi sono stato
‘ospite’ in vari campi di prigionia, poi fuggiasco, in seguito partigiano e vice-capo di un’organizzazione clandestina chiamata, appunto, ‘Libertà o morte’. Capo di questa organizzazione era l’attuale Ministro degli Esteri in Grecia, Averoff Evanghelos. Comunque, la mia prigionia non fu pesante, il trattamento fu umano e così decisi, che a guerra terminata mi sarei stabilito in Italia. Infatti nel 1947 ho fondato tre aziende tra Palazzolo sull’Oglio e Bergamo: una d’importazione di madreperla, una per la fabbricazione di materie plastiche per bottoni e un’azienda di costruzioni a Bergamo.
Il Consolato è il mio ‘hobby’” conclude il cordialissimo Console generale.
Alla nostra osservazione che tutte le sue attività gli portano indubbiamente via molto tempo, egli ribatte: “E’ questione di organizzazione. Ho i miei collaboratori che mi vengono a riferire sull’andamento delle aziende due volte a settimana. Ho quindi tempo in abbondanza per curare gli interessi del mio Paese ed anche di rappresentare ufficialmente la Grecia nelle varie manifestazioni della vita consolare e sociale”.
Il Console Generale, signor Meletiou, è nato in Egitto a Mansura; ha frequentato l’Università ad Atene ed è sposato. Non sappiamo che cosa chiedergli sulla Grecia, che noi ed i nostri lettori, o per studi dei bei tempi liceali o per aver fatto del turismo in quel Paese, ben conosciamo. Ma anche qui il Console Meletiou ci viene in aiuto e ci spiega che la Grecia è stata uno dei primi Paesi sottoposti alla Riforma Agraria. Già dal 1928 al 1932 durante l’era di Venizelos ebbe inizio la grande riforma e da allora non ci sono più delle grandi ricchezze in Grecia. “Nè grandi ricchezze, nè grandi povertà” ci spiega il nostro Ospite.
“Ed Onassis?”, osiamo osservare.
“Onassis? D’accordo, è un grande armatore greco, ma fa parte dei tanti connazionali ricchi che vivono all’estero. In fatto di flotta mercantile, la Grecia possiede una fra le prime tre delle più grosse del mondo. Mi domandate delle industrie greche? Esportazione di tabacco, olio, uva secca ed… importazione di turisti!”.
Il nostro ospite ci mostra la sua piccola e perfetta organizzazione turistica: alle scuole ed ai privati vengono spedite delle buste che portavano la stampa: “Visitate la Grecia. Oggi è il paese meno costoso per i turisti. Sarà una vacanza diversa da tutte le altre”. Esse contengono pieghevoli a colori, redatti scrupolosamente ed illustrati al massimo.
Poi ci mostra copie in marmo delle celebri statue greche. Alla sua cordialità il Console Generale Meletiou unisce una profonda cultura e noi lasciamo l’accogliente ed ospitale Consolato pieni di desiderio di ammirare al naturale tutto quel patrimonio storico ed artistico di schietta importanza turistica delineatoci da un illustre Cicerone quale il Console Generale, nella sua qualità di profondo conoscitore ed amatore della Storia, delle usanze e dei costumi del proprio Paese, mentre ci ritorna in mente che solo chi sa amare profondamente il proprio Paese, riesce a voler bene a quello di cui è ospite.
Ghitta Hussar
Qualche mese fa il signor Pierangelo Bonazzoli che conduce ricerche sui fatti e le vicende della liberazione in Toscana e precisamente in Casentino a Poppi, mi scrisse chiedendomi se poteva esser mio padre, un certo Avv. Melitio Teodoro, figura citata su un testo storico.
Mi ricordai subito che mio padre Teodoro Meletiou era stato prigioniero due volte in Italia dai fascisti di allora ed era quindi molto probabile che si trattasse di lui (il cognome scritto male era stato sicuramente un errore dovuto alla diversa lingua e pronuncia). Gli risposi subito.
In una sua successiva lettera il signor Bonazzoli mi disse che era riuscito a trovare la famiglia Certini che aveva ospitato mio padre e che aveva un vivo ricordo di lui. Ricordavano che mio padre era ritornato durante il dopoguerra in quei luoghi ma con loro rammarico
non avevano avuto modo di rivederlo.
Dopo qualche tempo trovai sul libro “Dieci vite in una” di Tatiana Averof, figlia di Evanghelos (Loli), un capitolo, il numero 28, che parlava proprio della Famiglia Certini e del legame che si era creato con mio padre. Il capitolo si intitola “Libertà o morte” e lo riporto di seguito:
NON PARLAVANO MOLTO FRA DI LORO, non con parole almeno.
Comunicavano tacitamente, con gli occhi, con i respiri, con i neuroni – come se ognuno parlasse con se stesso, così anche con il fratello. Teodoro Meletiou, tenente dell’esercito greco, proveniente da Mansura in Egitto, era evaso dalla caserma di Popi. Aiutato a fuggire a Roma dall’organizzazione segreta di Loli nel dicembre del 1943. La sua fama però lo precedeva. Nessun prigioniero aveva sviluppato un’azione del genere nella zona dopo la sua evasione, come ha informato Loli il suo contatto a Popi. Collaborava con le organizzazioni locali della Resistenza e, come dicevano le voci, non aveva mai fallito in alcuna missione, per quanto pericolosa fosse. Sveglio, coraggioso e perfetto conoscitore della lingua italiana, Teodoro Meletiou – oppure Mario Certini, grazie al giuramento falso di quattro testimoni presso l’ufficio comunale di Popi – si è dimostrato immediatamente prezioso collaboratore di Loli e i due uomini si sono legati come fratelli.
Quella mattina, a fine dicembre circa, due rispettabili italiani, Mario Certini e Angelo Moncini – piuttosto presentabili con i cappelli ed i soprabiti lunghi – scendevano spensierati verso Piazza di Spagna. Avevano imparato ormai a recitare il loro ruolo e l’esperienza gli aveva dimostrato che le loro Carte d’Identità non presentavano alcun segno esterno di falsità. Qualora si celasse nel loro animo qualche piccolo brivido di paura, cosa particolarmente naturale oggi che avevano una missione pericolosa, tuttavia nessun segno visibile tradiva nemmeno una minima esitazione. Con passo costante, sciolto, i due uomini scesero i famosi Gradini di Spagna e si imboccarono Via Condotti, dove erano concentrati tutti i negozi aristocratici. Restarono per un po’ a far finta di guardare le vetrine, l’uno rimase un po’ più
indietro, la distanza fra loro aumentava pian piano, sino a quando pareva che non fossero insieme. Loli si fermò un attimo davanti alla magnifica gioielleria BULGARI e salutò il custode con i capelli bianchi che sorvegliava l’ingresso.
“Prego, signor Angelo, vi stanno aspettando” – gli fece cenno lui verso l’interno del negozio.
Loli attraversò lo spazio luminoso dell’esposizione, aprì la porta segreta che c’era in fondo e si trovò in una grande sala lunga e stretta dove alcuni artigiani stavano lavorando concentrati sulle pietre preziose e sull’oro.
Procedette velocemente fino all’altra estremità del laboratorio, ammirando di nuovo quel demonio del sig. Sotiris Voulgaris in Greco Σωτήρ Βούλγαρη – che iniziò dalla povera Paramithià nel 1880 avendo come uniche dotazioni l’arte del lavoratore d’argento e la sua laboriosità e creò in pochi anni quel colosso.
“Angelo, Angelo, come sta?” sempre gentile Giorgio, secondo figlio del signor Sotiris, gli diede il benvenuto in un ufficio buio e chiuse la porta dietro di sè.
“Eccezionalmente bene”. Loli lo abbracciò, chiese di suo fratello, che è sempre sommerso nei suoi lavori, e riprese con i ringraziamenti a nome di tutti i Greci, per il loro generoso e premuroso contributo per qualsiasi cosa e in qualunque momento ne avessero avuto bisogno. “Non parlarne nemmeno” lo interruppe Giorgio. “Lo sai che il nostro cuore è sempre con voi. Non dimentichiamo le nostre radici”.
Lo sapeva bene Loli. I fratelli Bulgari, già da quando si trovavano a Feramonti, sia col pretesto delle presentazioni dei loro generi Zafiris Valvis e Giorgio Athanasiadis-Novas, o di altre persone note in Grecia, sia dopo le richieste dell’ambasciata Greca di Berna, avevano inviato denaro a diversi Greci che si trovavano nelle carceri, nelle caserme oppure in paesi d’Italia. Lo avevano spedito in modo plateale tramite posta oppure segretamente mediante un loro uomo che viaggiava a tale scopo in nord Italia. Delle cose segrete la polizia italiana non se ne è mai accorta. Ma del resto se ne è accorse e fu pretesto di seri problemi. Ma i due fratelli riuscirono a salvarsi. Salvarsi e continuare.
“Tutti a Feramonti conoscevamo il nome dei fratelli Bulgari” disse
Loli con decisione. “Era una delle mie poche speranze, quando scendevo a Roma come latitante. Però non potevo immaginare… cosi generosi… a questo livello…”.
“Bene, Bene” lo interruppe Giorgio “non facciamo tardi. Ecco: ciò che hai chiesto. Tieni”.
Una grande borsa nera passò da una mano ad un’altra.
Anziché continuare a dialogare, Loli si inchinò e si sfilò la scarpa. Bulgari lo guardava dubbioso.
“So che non avete mai voluto dimostrazioni scritte o altre conferme, ma…” – Loli continuava a cercare nel fondo della sua scarpa. “Questa volta l’importo è eccezionalmente grande, perciò…” tirò fuori un pezzo di carta attentamente piegato e lo offrì al suo interlocutore. “Abbiamo ritenuto giusto redigere questo verbale nel quale riferiamo dettagliatamente le modalità di disposizione del denaro e che quest’ultimo costituisce un prestito, da saldare dallo stato Greco al termine della guerra. Inoltre, nel caso quest’ultimo rifiutasse di pagare assumiamo noi tale responsabilità. Come vedrete unitamente a me sottoscrivono il comandante Kountouriotis, i coniugi Zanna e tutti i greci che si trovano a Roma come impiegati pubblici ed ufficiali”.
“Caro Angelo, che sciocchezze sono queste!”. Il signor Bulgari era commosso. “Ciò che conta è di continuare il lavoro importante che avete fatto per il salvataggio di tutti gli ostaggi Greci. Ognuno contribuisce come può”.
Tirò fuori dalla sua tasca il suo accendino, strappò il foglio in mille pezzi e li bruciò in un posacenere. “Vai ora” lo mandò via “stai molto attento uscendo da qua dentro. La vostra sicurezza prima di tutto”.
La sicurezza, sì…
Loli uscì dal negozio BVLGARI con la borsa nera sotto braccio, conoscendo molto bene che per quanto possano stare attenti, per quante misure meticolose possano prendere, non saranno mai sicuri. Il loro destino è determinato dal fattore Fortuna. Con lettera F maiuscola. Questa è quella che ride per ultima. Rabbrividiva ricordando che due giorni prima tornando spensierato con il tram, all’improvviso li fermarono e fecero scendere tutti gli uomini per controllare i loro documenti. Lo stesso è successo recentemente nei teatri, nei cinema ed in altri punti di frequentazione della città. I
sospetti venivano condotti in carcere, gli altri venivano inviati al lavoro sia nel fronte di Anzio che di Cassino sia per le strade dell’Italia centrale. Si ricorda lo shock, quando vide le camicie nere e gli ufficiali Tedeschi che li accerchiarono. Stranamente impassibile, tentò inizialmente di fuggire con un gruppo di invalidi, ma fallì. Accanto a lui un chirurgo confermò all’ufficiale capogruppo che lo attendevano per un’operazione urgente e gli mostrò i suoi documenti. Ma inutilmente. Era evidente che non c’era salvezza. Due donne dal tram si protesero con lamentosi urli per salvare i loro mariti. Tre camicie nere le trattennero a fatica, mentre la gente osservava sbigottita la scena. Da vicino anche Loli osservava, mentre pian piano si avvicinava alla zona di blocco, il quale nel frattempo si era allentato. O ora o mai, pensò. E si è lanciò. Lo separavano venti metri dall’angolo e dopo si sarebbe perso nel dedalo delle viuzze medioevali. Pochi minuti più tardi, tutto sudato ed affannato, si trovava seduto su un muretto in pietra di un angolo al riparo dal sole e cercava di accettare quello che era successo. Sì, è vero che Loli crede molto alla fortuna. La rispetta. La prende con le buone, le fa i voti nelle sue preghiere. Sa che non può contrariarla – e perciò alla fine la ignora.
Meletiou lo aspettava sul marciapiede di fronte gettando occhiate nervose verso l’ingresso dell’oreficeria. Le missioni pericolose se le spartiscono un po’ per uno ed oggi toccava a Loli di gettarsi nel fuoco. Il suo compagno lo seguirà semplicemente da una distanza di sicurezza, cercando di non perderlo di vista sino a quanto non sia certo che è arrivato sano e salvo a destinazione. Le misure fondamentali di previdenza non escludono purtroppo i pericoli. Almeno, però, nel caso venisse catturato Loli, potranno essere avvisati immediatamente l’ambasciata Svizzera e la Croce Rossa Internazionale, mentre gli altri membri del gruppo riusciranno a nascondersi. Senza alcun segno di riconoscimento, i due rispettabili Italiani partirono verso la stessa direzione, uno davanti, l’altro dietro, con grande distanza fra loro. Non se ne parlava nemmeno di prendere il tram. Camminarono per tutto il percorso evitando attentamente le vie frequentate. Così, poco più tardi., arrivarono alla pensione Capri stanchi ma eccitati e festeggiarono il loro successo con una bottiglia
di vino.
La fortuna fu buona con loro un’altra volta.
Le serate, quando non erano in qualche missione fuori Roma, le trascorrevano di solito in compagnia fra loro, scambiandosi storie e peripezie risalenti ai tempi prima di conoscersi. Loli parlava delle sue imprese a Corfù in qualità di prefetto, della sua azione a Larissa che condusse alla sua cattura e della sua strana amicizia con Tositsas per corrispondenza per molti anni senza essersi mai conosciuti. Meletiou gli raccontava storie dalle battaglie eroiche dopo l’invasione Tedesca in Grecia e di come fu catturato alla vigilia della sua partenza e fu esiliato a Popi. Là – a Popi ed a Feramonti, rispettivamente – si fermava improvvisamente il tempo dei racconti, come se i due uomini avessero tacitamente concordato di esiliare l’esperienza della caserma dalle loro memorie comuni, e iniziavano di nuovo le storie dalla loro fuga in poi. Adesso ormai coabitavano in un appartamento all’estremità della città, di quelli che concedevano i fidati dell’organizzazione ed erano assolutamente sicuri. La pensione Capri veniva utilizzata ormai solo per l’alloggio provvisorio di quelli che arrivavano per la prima volta a Roma sporchi, coperti di cenci e impauriti, fino alla loro sistemazione altrove. L’idea per questa nuova strategia fu inizialmente di Carla, che li avvertì, a dire il vero con molto tatto, che un alloggio più duraturo nella pensione avrebbe potuto suscitare dei sospetti nelle autorità. Sembrava che anche lei avesse sospettato da tempo che qualcosa non andasse bene da quanto le aveva rivelato il suo nuovo amico Angelo Mancini, ma doveva prima accertarsene. Se si fosse sbilanciata anzitempo con lui, sarebbero potute verificarsi conseguenze disastrose per l’organizzazione antifascista alla quale appartenevano sia lei stessa sia suo marito. Attentamente dunque, un passo alla volta, fu cercata e conquistata la fiducia fra le due parti – che era ormai assoluta e poco affettiva.
Una sera sotto la luce delle candele –la corrente era stata interrotta di nuovo dopo i recenti bombardamenti degli Alleati- Meletiou iniziò a raccontare un’altra avventura incredibile che avvenne poco prima che si conoscessero: era giunta voce ai suoi amici antifascisti a Popi che da qualche parte in un altopiano oppure in un paese dimenticato della
montagnosa Pratalia, erano nascosti alcuni ufficiali superiori Inglesi. Fu incaricato di indagare su tali voci e, poiché c’erano tali fuggitivi, di entrare in contatto con loro. Una missione per niente facile, sottolineò a questo punto, allo scopo di far salire il termometro del suo racconto e d’altronde, rinchiusi come erano nel buio e nel divieto di circolazione notturno, non avevano da fare nient’altro. Per niente facile, ribadì. Le tracce lo guidarono in un inseguimento infinito, dalla casa del prete di un quartiere montagnoso al mugnaio del paese di fronte, alla vedova, al vetturino, al picchiatello, fino a quando non si ritrovò una compagnia inaspettata: in un mulino in rovine, all’estremità del nulla, erano rifugiati sette tra ufficiali Inglesi e briganti, un’ufficiale Sudafricano di nome Armostrong, l’Inglese maresciallo Niim, che era precipitato con il suo aereo in Italia e quattro soldati Britannici – tutti disperati ed in stato pietoso. Loli ascoltava estasiato mentre il suo amico continuava la sua storia soddisfatto di aver trovato un ascoltatore così buono: i tre più anziani – Niim ed altri due generali – si decise di farli fuggire per primi. Senza fretta o riflessione, tutto fu organizzato con perfezione. Percorsi, collegamenti, contatti. La sua missione era quella di condurli in un paese dell’Adriatico vicino a Pesaro, dove li avrebbe attesi un sommergibile Inglese. E naturalmente la missione fu portata a termine: dopo mille peripezie e camminando per la maggior parte del percorso, i tre generali furono consegnati al sommergibile e tornarono al loro paese sani e salvi. Ora sulle montagne in Pratalia si nascondevano ancora dieci Inglesi, continuò come se volesse autodiffendersi, non riuscì a farli fuggire prima di scendere a Roma. Il più anziano fra loro era il generale Michael Gampier-Pari, capo della missione militare inglese in Grecia all’inizio della guerra Greco- Italiana – grande coincidenza –, perchè aveva ammirato, come ha detto – l’esercito Greco in quell’eroico assalto ed era particolarmente caloroso con Meletiou.
Loli, però, non era più attento, non poteva essere attento. Il suo pensiero era concentrato all’occasione incredibile che gli veniva presentata. Questo gruppo degli ufficiali Inglesi non riceveva aiuto da nessuna parte. Viveva alla mercé della popolazione e di un’organizzazione locale. La fuga dei tre generali fu organizzata
direttamente da un gruppo antifascista di Pesaro. A Roma, nel Vaticano, gli uomini dell’ambasciata Inglese non potevano sapere alcunché. Dovevano tenerli aggiornati, pensava. La sua mente si era incendiata. Dovevano avvicinarli ed offrirgli i loro servizi come organizzazione alleata. Sino ad ora non era riuscito mai ad essere accettato presso l’ambasciata inglese del Vaticano. Le due volte che lo aveva richiesto, presentando un rapporto dettagliato tramite un comune conoscente, aveva ricevuto un piccolo aiuto economico, impersonale e formale. Ben accetto anche questo certamente, ma non ci fu alcun contatto, neanche qualche prospettiva per l’accesso più facile in futuro. Ora però …i suoi battiti aumentarono, era diventato rosso in volto dalla sua agitazione. Adesso gli veniva data l’occasione di mettere piede sulla porta degli Inglesi, non come mendicanti, ma come compagni e soccorritori nella lotta comune. Loli abbracciò Meletiou e iniziò a ballare.
Più o meno così mi ricordo anch’io Teodoro Meletiou. Quando veniva a farci visita, di solito una o due volte l’anno (perché si sposò con Alessandra mezza Ceca e mezza Italiana dalle Marche) e viveva permanentemente a Milano, anche Console Onorario di Grecia), correvamo noi piccoli ad abbracciarlo e ballavamo dalla nostra gioia. Mi lanciava per aria, per un momento diventavo un uccello, e mi riprendeva di nuovo prima che la paura potesse avere un effetto negativo sull’eccitazione del volo. Dopo tirava fuori dalle sue tasche tante cose magiche, lecca-lecca, cioccolatini Perugina e strani tesori dall’Egitto – una gatta d’ambra mi ricordo, che fu per anni preziosa compagnia nelle serate quando si spegneva la luce. Lo chiamavamo zio Teddy e tu sorridevi contento perché era tuo fratello. Oppure “uncle Teddy”, per la precisione, che non ti piaceva molto, ma dimenticavi di brontolare verso la tua Dinaki che ci ha allevati come se fossimo Inglesi ed ecco adesso che le figlie del Ministro Greco non parlano la lingua Greca se non come seconda lingua. Quando veniva zio Teddy tutti i dispiaceri sparivano, la casa cambiava aspetto e la mamma (Dina) rideva.
Un anno, il giorno dell’Epifania ci fece visita, mi ricordo. Giorno nostalgico per te, che risvegliava in te memorie della splendente cerimonia sul fiume Lithaio e la nonna Eftimia, che vi cambiava e
adornava e andavate tutti insieme, ma non ne voleva neanche sentire del tuo desiderio di tuffarti nelle acque gelide per prendere la croce. Altre volte l’estro della nostalgia ti portava ancora più lontano e ci parlavi per la cerimonia dei “Plintirion” ad Atene antica, come se tu stesso fossi presente nel corteo, quando trasportavano la statua della dea Atena alla costa di Faliro e la buttavano in mare perché ritrovasse le sue sacre forze. Ed allora ammiravi e gioivi come un bambino piccolo perchè questa santa festa dell’Epifania aveva le sue radici nella gloriosa antichità dei Greci.
Sì, un altro tuo tormento questo, la religione, che per te aveva rapporti con radici e tradizioni in Grecia e di conseguenza non ridevamo mai per qualcosa di sacro. Per la tua Dinaki, però, essendo figlia di Greci residenti all’estero cresciuta con l’immagine dell’aristocrazia britannica, altre cose erano più sacre. Per lei la religione era forse l’ordine, l’etichetta, il galateo e la tavola apparecchiata bene – e questo era la causa di frequenti litigi fra voi due. Ogni Venerdì Santo indispensabilmente c’era il solito litigio. Tu volevi fare il digiuno durante la Settimana Santa, noi eravamo più rilassati. Neanche l’olio, dicevi, cosi vi ha insegnato la signora Eftimia da ragazzi, non apparecchiamo neanche la tavola Venerdì Santo. E mangiavi con il broncio le tue lenticchie sul bordo della tavola ben lucidata, senza olio, confinato, senza tovaglia, mentre la mamma lo mescolava per farti un favore e noi più in là mangiavamo spudoratamente e sfarzosamente. Lo stesso avveniva durante l’Epifania – quasi ridicolo il borbottio che veniva fuori ogni volta con il pretesto delle usanze religiose della nostra razza e finiva sempre in litigio. Unica eccezione che si distingue nella mia mente era che quell’anno nel giorno dell’Epifania in cui ci fece visita lo zio Teddy. Mi ricordo che ci raccontava barzellette e tutti eravamo felici. Mamma rideva molto, che si era dimenticata di brontolare quando è arrivato il prete deciso come sempre a benedire con l’acqua santa tutte le stanze, le cantine, i nostri bagni e gli angoli nascosti della casa. Il suo solito commento, tanto fastidiosamente diligente in quanto tu ogni anno gli davi la mancia così irragionevolmente lauta, ci è sembrato per qualche motivo esilarante. La sua solita insistenza a seguirlo con uno straccio in mano ed asciugare i mobili di Saridis in modo che non si
macchiassero con l’acqua santa ci sembrò una graziosa stranezza della buona mamma e tu hai dimenticato di fulminarla con la solita rabbia del credente. Quando veniva zio Teddy, spargeva attorno a se un irresistibile energia e ci univa tutti in un abbraccio. La casa ritrovava le sue sacre forze e ci riempivamo di fede nella gioia della vita.
Il generale inglese Michael Gampier-Pari giunse a Roma in data 13 gennaio 1944, stanco ed afflitto. Il viaggio dalla Pratalia montagnosa fu difficile, pieno di pericoli e disavventure che furono scongiurate all’ultimo momento, grazie al coraggio e all’ingegnosità di Teddy Meletiou. Sebbene confortato ed eccezionalmente riconoscente all’organizzazione Greca che coprì la sua fuga, il generale Inglese rimase inquieto e preoccupato ed un po’ lamentoso. La pensione Capri non era quello che immaginava. Lui chiedeva di agevolarlo perché continuasse il suo viaggio verso sud in modo da oltrepassare le linee del nemico ed unirsi ai suoi. Però una tale possibilità la loro organizzazione non la possedeva, come gli fu spiegato chiaramente da Mancini, il comandante del gruppo Greco. Che lo portassero all’ambasciata inglese del Vaticano dunque, pretese più logicamente il generale. Ma neanche questo poteva avvenire. Gli stessi suoi compaesani avevano respinto la sua richiesta. La situazione era complicata, gli avevano spiegato nella loro lettera inviatagli lo stesso giorno tramite Meletiou. L’ingresso di un generale nella zona franca sarebbe potuto essere scoperto e avrebbe creato problemi molto seri. Avrebbero cercato dunque di sistemarlo a Roma e nel frattempo gli avevano inviato ventimila lire perchè si vestisse – anche se dubitavano, come gli avevano scritto, che sarebbe stato possibile procurarsi dei vestiti a Roma, dove in generale non si trova niente, e sarebbe forse stato necessario spedire i vestiti in loro possesso. Non ha resistito il povero generale. Come sarebbe sopravvissuto, ha chiesto innervosito a Meletiou. I suoi vestiti erano diventati dei cenci, le sue scarpe erano rotte e con difficoltà riusciva a tenerle sui suoi piedi infreddoliti. Non poteva neanche mettere il naso fuori dalla pensione Capri senza almeno un cambio di vestiti decente. Come poteva vivere a Roma? Cosa sarebbe avvenuto in futuro?
Domani è una nuova giornata, affermò Meletiou, con quella irresistibile fede che lo caratterizzava anche nei momenti più difficili.
Non devi preoccuparti di niente. Tutto sarà sistemato.
E nonostante non si fosse convinto il generale, ma un po’ più tranquillo ora, si mise a dormire dodici ore senza interruzioni.
La mattina del giorno dopo, Loli e Meletiou arrivarono alla pensione con un calesse – la cui tenda era del tutto sollevata – e trasportarono il generale in uno dei punti più centrali di Roma. Il percorso era breve. Dopo non molto il calesse si fermò fuori da un negozio ed i tre passeggeri scesero frettolosamente. Il proprietario, signor Leone, era stato avvisato e li attendeva. Non era la prima volta che il marito di Carla forniva indumenti poco costosi dal suo negozio ai Greci fuggitivi, e per la precisione ad un terzo del loro prezzo effettivo. Questa volta, però, era diverso. Leone poteva anche non conoscere molti dettagli – principio inviolabile, per motivi di sicurezza – ma non era stupido. Era la prima volta che vedeva Mancini tanto generoso. “Zio Michele”, come chiamavano l’uomo biondo con gli occhi azzurri ed il bel fisico, voleva il meglio ed aveva i soldi per pagarlo. Doppiamente servizievole il negoziante condusse subito i tre visitatori nel suo ufficio ed iniziò a portarli degli articoli nascosti, che mai fino ad allora aveva mostrato a Loli.
In meno di un’ora il buon Zio Michele era vestito elegantemente: abito, cravatta, gilè, capotto, guanti, cappello, ed accessori – tutti di qualità tale che solamente prima della guerra poteva trovare e solo in negozi di alto livello. Lo spettacolo di se stesso nello specchio cambiò immediatamente l’umore del generale. Ecco dunque che l’organizzazione dei Greci poteva ottenere cose irrealizzabili per gli altri. La sua sorte era in buone mani. E per tutto il percorso di ritorno guardava i suoi due salvatori con rinnovato rispetto.
Più tardi, però, verso sera, all’ora in cui Loli e Meletiou tornavano ormai a casa per riposarsi, una notizia eccezionalmente preoccupante da una fonte fidata portò nuova inquietudine nella loro compagnia. Qualcuno aveva parlato, sembra, qualcosa si è venuto a sapere e dovevano far fuggire subito il generale dalla pensione Capri. Dove potevano andare, però? Il tempo premeva, non c’erano molte scelte. Fra un po’ iniziava il divieto di circolazione. Loli corse di nuovo alla pensione, cos’altro poteva fare? A malapena fece in tempo a tornare a
casa sua, assieme all’Inglese, prima che la città si paralizzasse per un’altra notte di schiavitù.
L’appartamentino che dividevano i due amici, all’estremità della città, non aveva alcuna sontuosità. Due divani stretti in tutto, un tavolo con due sedie, un rudimentale spazio “cucina” in un angolo ed un microscopico w.c. Non c’era alcuna comodità per ospitare altri visitatori. Il generale Michael Gampier-Pari era costretto a mangiare e dormire alla buona. Loli era sicuro che si sarebbe lamentato. Meletiou si fece in quattro per intrattenerlo. Meno male che l’Inglese era silenzioso. Quello che c’era lo avrebbero diviso con gioia, ha detto Loli, e si sedettero a mangiare. Di pane ne avevano parecchio, raffermo sì, ma con due gocce d’olio sarebbe stato buonissimo e nutriente. E per piatto principale un minestrone di verdure secche ed altre belle cose che aveva raccolto Meletiou tornando da Pratalia – “Unbelievable” commentò il generale – questa era la loro ricetta segreta per “minestrone gourmet della guerra”. Risero. Bevvero poco vino. Gampier-Pari si guardava attorno con un certo stupore negli occhi. “Come è strano il destino…” sembrava commosso. Chi lo avrebbe detto, quando combatteva con l’esercito Greco in Albania, che si sarebbe ritrovato poi in ostaggio in Italia e sarebbe stato debitore di tante cose ai Greci fuggitivi, forse anche della sua stessa vita. Dopo alzò il suo bicchiere e aggiunse con una certa ufficialità: “Mi dispiace dirlo, ma credo che la vostra organizzazione sia superiore a qualsiasi altra”.
I due Greci risero in modo imbarazzato e lo ringraziarono per le sue buone parole.
“Ho intenzione di indirizzarvi una lettera un po’ ufficiale” ha continuato il generale. “Non lettera personale, avete capito, ma indirizzata a tutta la vostra organizzazione, per esprimere i miei ringraziamenti per tutto ciò che avete fatto per me. La comunicherò anche alla nostra ambasciata. Ditemi dunque, dove la devo indirizzare? Quale è il nome della vostra organizzazione? ”
Un silenzio di un minuto…. Quale organizzazione e formalità? Ognuno ha fatto quello che poteva – e di nome naturalmente non ne esisteva alcuno. Però avevano dato un’altra impressione agli Inglesi. Li avevano ingannati volutamente, per guadagnare il loro rispetto e
per convincerli di collaborare….
“Libertà o Morte”, sparò Loli un po’ più forte di quanto sarebbe stato consono.
“Ah, molto bene” ha detto il generale, che non notò nulla di strano nell’intensità del momento. “Se mi ricordo bene, in Grecia mi hanno detto che le sillabe delle parole corrispondono alle strisce della vostra bandiera e che questo era il segnale nazionale dei Greci nella lotta per la vostra indipendenza”.
“Certamente, certamente” convenne Loli alleggerito per non essersi tradito. Nessuna bugia avrebbe rovinato il loro rapporto con l’ambasciata Inglese, al contrario rimediarono molto bene.
E così, quella sera il gruppo greco segreto fu battezzato con il nome inatteso e piuttosto pomposo: “Libertà o Morte”.
E impercettibilmente, come spesso accade, le parole danno forma al modo di dire, ed esattamente da quel momento il nome “Libertà o Morte” iniziò a colorare in modo nuovo l’azione e l’andamento dell’organizzazione.
Loli = Evanghelos Averof Tosizza, scrittore Greco, Ministro degli Esteri e della Difesa in Grecia e tutore di Nicolas dopo la morte di Teodoro nel 1964. [:]